A forma di chiodo

Le scritture cuneiformi

di Gian Pietro Basello
Casa Matha, Ravenna
10 febbraio 1999, ore 21:00

Introduzione geografica

Innanzitutto devo chiedervi di prepararvi ad affrontare un lungo viaggio immaginario: come ogni viaggio, non viaggeremo solo nello spazio ma anche nel tempo e, in questo caso, a ritroso del tempo. Dobbiamo abbandonare Ravenna (Italia, nell’Europa dell’Euro) per raggiungere la Mesopotamia, la terra tra i due fiumi – Eufrate ad ovest e Tigri a est – di scolastica memoria, oggi in Iraq (Asia), dove il sole sorge due ore prima rispetto a noi. Quella che fu la terra dei Sumeri, dei Babilonesi e degli Assiri, ci è abbastanza familiare grazie alle cronache dei giornali. I tanti siti archeologici giacciono abbandonati: difficile visitarli (il turismo sarebbe una grande risorsa per l’Iraq), le missioni archeologiche sono sospese e il grande museo di Baghdad (che per la antichità orientali ha poco da invidiare al Louvre o al British Museum) è chiuso con i pezzi imballati per precauzione. Ma in questa conferenza dobbiamo proprio abbandonare il presente. L’avventura della scrittura cuneiforme inizia infatti circa 3000 anni a.C., 5000 anni fa e si protrae per più di 3 millenni... e noi, oggi, ci prepariamo a festeggiare l’anno 2000 della nostra era!

La decifrazione

Ma, stranamente, il nostro punto di partenza è ancora un po’ più a est e un po’ più recente: VI sec. a.C. Siamo a Persepoli, oggi in Iran, la capitale dell’impero persiano, città di rappresentanza del grande re, il re dei re, l’achemenide: Dario. Nel XVII sec. della nostra era, più precisamente nel 1621, il nobile pellegrino romano Pietro della Valle, visitata la Terra Santa, prolunga il suo percorso e arriva proprio a Persepoli. Qui, passeggiando per le rovine, raccogliendo qualche mattone o guardando i muri imponenti, trova degli strani segni e, da uomo di cultura qual è, ne spedisce copia ad un amico fiorentino. Era il disegno di 5 segni cuneiformi. È il primo passo di un cammino incerto che porterà il mondo occidentale a scrivere una nuova storia, che comincia molto tempo prima di Roma e Atene. Ma se non era ancora chiaro a quali scoperte o civiltà avrebbe portato questo percorso, era invece sicura la direzione: l’oriente.

A questo punto devo fare una piccola premessa: in questa conferenza parliamo di scrittura cuneiforme. Scrittura: questo ci porterà a toccare molte lingue, peraltro completamente diverse fra loro. Stessa scrittura, lingue diverse come oggi possiamo scrivere inglese, francese, tedesco praticamente con gli stessi caratteri ma non possiamo scrivere, ad esempio, in arabo o cinese a meno di ricorrere ad un sistema convenzionale di traslitterazione. Le lingue sono poi raggruppate in famiglie: le più famose sono quella indoeuropea (sanscrito, persiano, greco, latino e quindi italiano) e quella semitica (babilonese, ebraico, arabo). Ma questa sera ci imbatteremo anche in lingue prive di parentela, ad esempio il sumero o l’elamico. Questo discorso delle famiglie linguistiche può sembrare un po’ astratto: in realtà, studiando concretamente queste varie lingue, ci si rende conto che le somiglianze sono davvero tante sia lessicalmente che grammaticalmente. Cuneiforme: una scrittura in cui ogni segno è ottenuto combinando, incrociando, moltiplicando all’infinito con estrema fantasia un unico piccolo mattoncino costitutivo a forma di cuneo, triangolo, che vi mostro subito perché protagonista della serata. E allora devo dirvi che alla fine ne sono saltate fuori diverse scritture, seppur tutte costituite da tanti piccoli cunei, ognuna con la sua storia. Il termine "cuneiforme" deriva da Plinio il Vecchio che parla di tratti grafici terminanti con un cuneo, caratterizzazione ripresa da Engelbert Kämpfer nel 1712 e adottata poi dagli studiosi moderni. Finita la premessa.

Proprio grazie al re Dario, comincia la decifrazione delle varie scritture cuneiformi: a Bisotun, una tappa ai piedi di una montagna sulla grande via da Babilonia per Ecbatana (la capitale dei Medi), Dario fece incidere una grande iscrizione in cui narrava le sue gesta e la sua fulminante ascesa al trono. Al centro vi è la raffigurazione del re che sottomette i ribelli: insomma, una specie di grande manifesto pubblicitario. Dario fece incidere l’iscrizione a più riprese in tre lingue: elamico, antico persiano (probabilmente la sua lingua materna) e babilonese. Una specie di stele di Rosetta, anche se qui tutte e tre le lingue erano sconosciute. Già a prima vista, si nota che sono redatte in tre differenti tipi di carattere (oggi diremmo fonts) cuneiformi. La scrittura elamica e, almeno nell’adozione del cuneo come unità compositiva, quella antico-persiana rappresentano uno sviluppo di quella babilonese, anche se attraverso un’evoluzione drastica, specie nel caso dell’antico persiano: rispetto all’affollato sillabario babilonese, l’antico persiano utilizza solo 44 segni, configurandosi come una scrittura quasi alfabetica. L’antico persiano fu la prima delle tre lingue ad essere decifrata, all’inizio del XIX secolo d.C., grazie al tedesco Georg Friedrich Grotefend (un professore di latino al ginnasio dai vasti interessi) e all’inglese Henry Creswicke Rawlinson: è una lingua indoeuropea, imparentata quindi con il greco e il latino, e la sua scrittura prevede sistematicamente un piccolo cuneo diagonale per separare le parole (un grande aiuto per il decifratore). Poi fu decifrato a grandi linee l’elamico (la lingua di cui mi occupo in particolare) e infine il babilonese, nel 1857, quando nelle stanze tappezzate della Royal Asiatic Society (Londra) avvenne una strana competizione: quattro studiosi, fra cui il già citato Rawlinson e il geniale reverendo Edward Hincks, furono chiamati a tradurre indipendentemente l’uno dall’altro un’iscrizione appena rinvenuta. Quando i giudici constatarono che le traduzioni erano convergenti, fu emesso il verdetto: il babilonese era decifrato! In realtà la strada da percorrere era ancora tanta.

Abbiamo detto che la scrittura cuneiforme elamico derivava da quella babilonese, la scrittura cuneiforme per eccellenza. Ma anche i babilonesi avevano copiato la scrittura di qualcun altro: l’avevano presa a prestito dai Sumeri. Allora val la pena ritornare in Mesopotamia (precisamente nella parte meridionale) e andare ancora più indietro nel tempo per vedere insieme cosa misero a punto questi Sumeri.

La rivoluzione urbana

Nel IV millennio a.C. una serie di condizioni ambientali favorevoli portarono all’occupazione e allo sfruttamento della pianura mesopotamica: se cerchiamo di disegnare un quadro unitario a partire dai dati archeologici, sembra proprio di assistere ad un’improvvisa ondata di gruppi umani che scendono a valle dagli altipiani circostanti, ad un formarsi di piccoli agglomerati urbani che crescono velocemente, ad una crescita demografica che permette ad alcuni di dedicarsi a tempo pieno ai lavori di supporto dell’attività agricola (il fabbricante di utensili, il vasaio, il tessitore); ciò comporta un miglioramento della tecnologia che a sua volta provoca un aumento della produzione agricola, assecondando così la crescita demografica che stimola la messa a cultura di nuovi campi che... Allora si rende necessario un centro direzionale, un fulcro emanatore di servizi, che trova naturale punto di coagulo attorno al tempio, ovvero a quel desiderio di ultramondano che è connaturato all’uomo: nascono nuove classi sociali incardinate nel centro stesso, classi non legate direttamente alla coltivazione ma retribuite in natura per il loro lavoro di funzionari e controllori. In realtà, nel vissuto storico questo processo fu graduale, lento, e le sue cause non facilmente schematizzabili e consequenziali. Un’ulteriore spinta all’organizzazione venne poi dalla gestione del patrimonio idrico, dalla regolamentazione dell’uso dell’acqua e dalla manutenzione degli innumerevoli canali.

I contrassegni

È chiaro che la necessità di registrare in modo univoco e non manomissibile quantitavi di semente, consistenza di greggi e animali in genere, ammontare di paghe in natura era impellente. Venne perfezionato allora – e qui entriamo nel vivo – un sistema in uso già da alcune migliaia d’anni (8000 a.C.): quello dei contrassegni in argilla.

Come funzionava? Si tratta di piccoli manufatti di argilla (larghi 1.5 cm circa) variamente modellati in forme geometriche o naturalistiche (coni, sfere, dischi, cilindri, recipienti, animali). Ogni forma aveva un significato particolare: ad esempio un cono simboleggiava una piccola misura di grano, una sfera stava per una grande misura di grano e un cilindro per un animale. In questo momento si contava ancora concretamente (non 1, 2 e 3 ma 1, 1 + 1, 1 + 1 + 1), non potendo concepire i numeri come entità indipendenti da ciò che veniva contato (grano, animali). Verso il 3300 a.C. furono inventate le "buste": attorno ai contrassegni veniva modellata una sfera d’argilla cava (5-10 cm di diametro) che li inglobava. Ogni busta riguardava una particolare transazione. Alcune buste recavano impresse sulla superficie esterna dei segni che corrispondevano alla forma e al numero dei contrassegni contenuti all’interno. A un certo punto la presenza dei contrassegni all’interno delle buste divenne superflua: le buste furono appiattite assumendo la forma di piccole tavole, mentre i simboli dei contrassegni impressi su di esse sostituivano i contrassegni tridimensionali. Così, nella città sumera di Uruk e in quella elamita di Susa nacque più o meno contemporaneamente il supporto principe della scrittura cuneiforme: la tavoletta d’argilla.

La tavoletta

Spendiamo due parole su queste tavolette. Innanzitutto potevano essere di diverse forme: generalmente erano quadrate o rettangolari, ma anche ovali o circolari, cioè "buste" sferiche appiattite. La sezione in genere è piano-convessa cioè un lato (la base) è piatta mentre la faccia opposta è convessa. Si cominciava a incidere la parte convessa poi si girava la tavoletta longitudinalmente (non come le pagine di un libro) e si incideva il retro piatto. Spesso si finiva per scrivere anche sui bordi e sui fianchi. Non sappiamo bene come si tenesse la tavoletta durante la scrittura: a volte troviamo tavolette con impronte digitali (pensate, di uomini vissuti tanto tempo fa!). Anche le dimensioni sono variabili: da piccole tavolette per appunti di 1.5 cm di lato a tavolette amministrative di 36 × 33 cm (Ebla in Siria). L’altezza media di ciascun segno è di circa 5 mm ma non sono affatto rare tavolette con segni microscopici, alti meno di 2 mm. Per molto tempo ogni riga scritta era incorniciata da una casella, come si vede ancora nel codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.). Una volta incise, le tavolette venivano fatte essiccare al sole. Se invece si voleva mantenere tenera la tavoletta per poter riprendere l’incisione più tardi, la si avvolgeva in un telo bagnato, come si vede in alcuni esemplari che ne hanno l’impronta.

Ovviamente la tavoletta non era l’unico supporto scrittorio: le iscrizioni dei re erano incise su pietra tenera o dura; si pensa che fossero utilizzate anche tavolette di legno o avorio ricoperte di cera; non mancano iscrizioni su vasi e oggetti di metallo.

Sembra che le tavolette fossero riposte in verticale su scansie di legno, come risulta dagli scavi di Ebla (2400-2200 a.C.) in Siria; ceste di vimini erano poi usate per trasportare più tavolette dagli uffici agli archivi.

Perché la tavoletta? Sicuramente perché, come il papiro in Egitto, così in Mesopotamia l’argilla era facilmente reperibile. Impastando l’argilla con un po’ d’acqua si poteva preparare facilmente una tavoletta (presso gli archivi vi erano probabilmente operai addetti). La praticità della carta di oggi, che possiamo scrivere, stampare, piegare o rilegare, è niente in confronto alla durata delle tavolette cuneiformi che si sono conservate per 5000 anni. Ma torniamo alle buste appiattite.

Nascita ed evoluzione della scrittura

I segni incisi sulle "buste" appiattite non costituivano ancora una vera e propria scrittura, poiché non erano in grado di fissare una frase complessa. Tuttavia, un po’ dispiace pensare che uno strumento così importante per la vita umana, che permette la comunicazione fra persone distanti e fissa le proprie parole perché altri possano giovarsene, trarne piacere o esperienza, nasca per scopi economici. In realtà, credo che ciò sia accaduto proprio perché i testi sacri e i miti erano troppo importanti per essere affidati ad un’impersonale tavoletta: in questo periodo la trasmissione orale era privilegiata per il contatto umano che stabiliva fra ascoltatore e uditore. La cultura orale era un valore positivo, come emerge anche dalla Bibbia che, pur essendo testo scritto, poteva rivivere solo nella proclamazione ad alta voce nell’assemblea. Anche nel Corano, una variante del testo derivata secondo la tradizione orale direttamente da un discepolo di Maometto ha più valore di un testimone scritto. E quanti problemi testuali sono insorti nella Bibbia dal momento della sua redazione scritta!

Comunque, già verso il 3000 a.C., nella terra dei Sumeri, sempre nel grande agglomerato urbano della città di Uruk, troviamo tavolette d’argilla ricoperte di una grande varietà di segni (1200 circa). In questa prima fase, i caratteri grafici sono molto figurativi – si parla di pittogrammi – cioè si ha una corrispondenza diretta tra la cosa rappresentata e il segno che la rappresenta (ad esempio il segno KUA per "pesce"). Altri segni però o non hanno alcuna somiglianza con l’oggetto indicato (ad esempio il segno UDU per "pecora") o sono talmente stilizzati che una eventuale somiglianza non è più riscontrabile.

L’esigenza di scrivere testi sempre più complessi fu stimolo per il perfezionamento del sistema. Non potendo aumentare indefinitamente il numero di segni (quale poi la forma grafica corrispondente a concetti astratti?), gli scribi cercarono di estendere il campo semantico (cioè il significato) dei segni già esistenti. Lo fecero secondo due modalità che daranno origine a due caratteristiche tipiche della scrittura cuneiforme.

La prima modalità si realizza attraverso il passaggio dal pittogramma all’ideogramma. Ad esempio il segno raffigurante la testa con una specie di tratteggio sulla bocca indica appunto il termine sumero per bocca, ka. In seguito assume anche il significato di "parlare", in sumero du11. Stesso segno, lettura diversa secondo il contesto.

La seconda modalità predilige l’elemento fonetico a scapito di quello figurativo. Un esempio chiarirà tutto: il segno ti raffigura una freccia e significa appunto "freccia". Sempre in sumero, ti significa anche "vita". Allora il segno ti può valere anche per "vita" in determinati contesti. Questo passaggio è importantissimo: slegando il suono (valore fonetico) dalla raffigurazione, si renderà possibile la scrittura di termini più complessi mettendo in sequenza più segni che non indicano più ciò che raffigurano ma solo la sequenza di suoni (ciò fu possibile anche grazie alla natura monosillabica di molte parole sumere). Ora iniziamo a parlare di sillabogrammi, cioè segni che indicano sillabe e non più l’oggetto che raffiguravano. Le sillabe (ad esempio ka, ti o ir, el o bad, dug) diventano l’elemento costitutivo della scrittura cuneiforme che è classificabile proprio come scrittura sillabica.

Prima ho detto "raffiguravano" perché man mano si allenta il legame con il significato, l’aspetto grafico dei segni subisce sempre più un processo di stilizzazione. In particolare,visto che lo stilo incideva più facilmente linee rette, furono eliminate le linee curve. I segni vengono ridotti quindi ad una combinazione di tratti a testa triangolare, detti cunei. In un primo tempo questa stilizzazione complica ulteriormente i segni, ma poi porterà ad una notevole semplificazione specie in periodo neo-assiro.

Se un segno ha più letture o una lettura con più significati, può esser facile fare confusione, anche se forse ciò procura più fastidio a noi moderni che agli antichi Sumeri: in alcuni casi i Sumeri facevano precedere certi termini da particolari segni detti determinativi che non erano letti ma precisavano la categoria semantica del termine seguente. Ad esempio, il segno AN che raffigura una stella stilizzata e significa "cielo", può essere letto anche dingir con significato "dio"; come determinativo è usato prima di un nome di divinità. Il segno giš "legno" come determinativo precede i sostantivi di oggetti fatti in legno, ad esempio ti con significato "freccia" (e non "vita"). Un espediente grafico simile è noto anche nella scrittura geroglifica egiziana.

Un altro modo per scrivere nuovi concetti è combinare assieme due segni già noti in uno nuovo con un significato correlato (in questo modo si aumenta comunque il numero dei segni). L’esempio classico è il segno NINDA "cibo" che posto accanto al segno KA"bocca" significa "mangiare" ().

Dal sumero al babilonese

Infine, verso la metà del III millennio, una nuova etnia si affaccia sulla pianura mesopotamica: gli accadi invaderanno Sumer e adotteranno la scrittura sumerica per scrivere la loro lingua. Gli accadi parlano l’accadico, una lingua semitica, della stessa famiglia dell’ebraico e dell’arabo oggi, e che non aveva nulla a che vedere con il sumero. Il passaggio della scrittura sumera ad una nuova lingua così diversa, sviluppa ulteriormente il valore dei segni in senso sillabico e fonetico.

Alcuni segni conservarono comunque il valore di logogrammi, cioè continuarono ad indicare da soli una parola intera (l’oggetto raffigurato in origine): non venivano però letti con il termine sumero ma con il corrispondente termine accadico. Ad esempio il termine sumero per "dio", dingir, viene letto ora ilum cioè "dio" in accadico (etimologicamente connesso a elohim ebraico e allah arabo).

Più tardi – siamo ormai nel II millennio a.C. – si diffonderà la lingua babilonese, mentre le zone settentrionali conosceranno la diffusione della lingua assira. Accadico, babilonese e assiro, benché corrispondano a tre entità politiche diverse, sono da considerare come varietà linguistiche (dialetti) di un’unica lingua: a volte si parla genericamente di accadico o assiro-babilonese, altre volte si precisa paleo-accadico, babilonese o assiro. Da questo momento il sumero diventa sempre più una lingua colta e raffinata, la lingua degli antichi testi, che lo scriba babilonese deve studiare accuratamente, ma è sempre meno una lingua parlata.

Nel frattempo avviene un fenomeno curioso: i segni vengono ruotati di 90° in senso antiorario, come si può facilmente constatare dalle iscrizioni sulle statue (le tavolette di per sé potrebbero essere incise e lette in qualsiasi orientamento, come nulla vieterebbe di leggere un libro tenendolo capovolto) o risalendo al verso dei segni pittografici. Contemporaneamente le righe vengono disposte orizzontalmente (prima erano verticali, come vedremo nella stele di Hammurabi).

Nei primi secoli del I millennio a.C., la preponderante egemonia politica degli Assiri porterà alla ribalta la lingua assira. L'evoluzione grafica dei segni di questo periodo, detti neo-assiri, li rende molto diversi da quelli antico-babilonesi da cui pur derivano. È avvenuta gradualmente nel tempo una netta semplificazione che ha portato alla riduzione del numero dei segni effettivamente usati. Ora i tipi di cunei usati per comporre qualsiasi segno sono solo cinque: il cuneo orizzontale, il cuneo verticale, il cuneo diagonale da alto-sinistra a basso-destra e quello da basso-sinistra a alto-destra, l’angolo di 90° posto a 45° rispetto alla riga.

Diffusione

Il babilonese diventò nel corso del II millennio a.C. la lingua internazionale e diplomatica del Vicino Oriente. Famoso è l’archivio di Tell el-Amarna, l’effimera capitale del faraone Akhenaton (1353-1335 a.C.), che ci ha restituito in pieno Egitto un ricco archivio di corrispondenza diplomatica in cuneiforme babilonese delineando un ampio spaccato di storia del XIV sec. a.C.

Hurriti (nella Mesopotamia nord-occidentale a partire dal II millennio a.C.; la lingua non è né indoeuropea né semitica), ittiti e urartei (dal IX al VI sec. a.C. in Armenia; la lingua fu scritta ricorrendo ai segni neo-assiri) adottarono invece la scrittura cuneiforme per registrare le loro rispettive lingue (ed erano tutte lingue non semitiche). La scrittura cuneiforme elamica, una delle tre scolpite nella roccia di Bisotun, si era distaccato dall’antico babilonese e aveva progressivamente ridotto il numero dei segni utilizzati (meno di 150). Qui vediamo un’iscrizione del 650 a.C. circa del sovrano Atta-Hamiti-Inšušinak (Louvre). A Ugarit, un centro sulla costa siriana affacciato sul mar Mediterraneo, verso il XIV sec. a.C. fu messa a punto una scrittura alfabetica (30 segni) o, meglio, consonantica (visto che le vocali non erano scritte come in egiziano, fenicio ed ebraico) che di cuneiforme aveva solo l’aspetto grafico [tavoletta con testo rituale]. In un certo senso possiamo accostarlo al posteriore cuneiforme antico-persiano, che mantiene una componente sillabica. L’avventura dell’ugaritico termina bruscamente nel 1200 a.C. quando i popoli del Mare (un gruppo di popoli in parte indoeuropei di provenienza egeo-anatolica) distrussero la città.

Come si spiega la diffusione di una scrittura così complicata? Ma era davvero complicata, anche per un babilonese? Sì, lo era come ci ricordano molti proverbi mesopotamici dai quali emerge che lo studio dello scriba è difficile ed estenuante. Comunque, rispetto ad una scrittura alfabetica (di cui comunque è in un certo senso il progenitore), il cuneiforme sillabico è più stringato e richiede la scrittura di un minor numero di segni a parità di messaggio testuale.

Lo stilo

Prima abbiamo accennato al supporto scrittorio. Ora parliamo dello strumento usato per incidere i segni. Le due cose sono strettamente legate fra loro e, nel nostro caso, in stretta relazione anche con l'aspetto grafico dei segni della scrittura. Quando lo studente moderno si esercita a tracciare segni cuneiformi su un foglio di carta, impiega molto più tempo del suo antenato babilonese fornito di uno stilo modellato in modo da realizzare con una sola pressione tutto il triangolo che forma la testa di un cuneo.

Nei rilievi neo-assiri (VIII-VII sec. a.C.) vi sono diverse raffigurazioni in cui due scribi prendono nota di quantitativi di bottino (o contano nemici morti): il primo regge una tavoletta, il secondo tiene in mano un rotolo di cuoio o papiro che ricade in avanti. Forse il secondo scriba scriveva in aramaico: l’aramaico, lingua semitica, sfrutta una scrittura alfabetica consonantica adatta ad essere scritta con inchiostro. Era innaturale e scomodo scrivere in aramaico su tavoletta (benché siano stati fatti tentativi) o in cuneiforme su papiro. L’aramaico avrebbe sostituito presto il babilonese in campo diplomatico e internazionale (dalla seconda metà del I millennio a.C. con i Persiani).

Sono state fatte molte ipotesi riguardo lo stilo: innanzitutto sembra che nessun esemplare sia giunto fino a noi in quanto era ottenuto tagliando e incidendo una canna, un materiale molto deperibile. Vi mostro alcune elaborazioni fatte da vari studiosi. Provando materialmente a incidere l’argilla (io ho usato una varietà locale che è molto meno fine di quella mesopotamica) ci si rende conto che si possono ottenere risultati simili in modi diversi, a seconda della sezione dello stilo, a seconda di come sia tagliato, a seconda della pressione e dell’angolo di incisione. L’idea più semplice è quella di uno stilo a sezione triangolare. Una volta inciso il triangolo esercitando una pressione perpendicolarmente alla tavoletta, si inclina lo stilo e con uno dei tre spigoli alla base del triangolo si incide la linea retta. Tuttavia, con questo sistema si ottengono segni simili solo in parte a quelli originali.

Il codice di Hammurabi

Ed ora proviamo ad affrontare insieme un testo cuneiforme. Vi propongo il testo della prima legge del Codice di Hammurabi, inciso in babilonese su una stele esposta nel museo del Louvre. La stele è in diorite, una roccia particolarmente dura da incidere. Non sappiamo esattamente quali strumenti siano stati usati dai lapicidi. Avevano una copia del codice su tavoletta (ne sono state ritrovate diverse) e dovevano ricopiarla sulla stele. La stele è alta ben 2.25 m. Nella lunetta è raffigurato il re babilonese Hammurabi (1792-1750 a.C.) in atteggiamento di saluto di fronte al dio sole Šamaš in trono. Il dio, che era il garante del diritto, porge al sovrano le insegne del potere: lo scettro e l’anello.

Al di sotto e sul retro si dispone in colonne orizzontali il testo del codice (vedete che qui la scrittura non è stata ancora ruotata, benché la copia che vi ho dato la ruoti per comodità nostra... ma abituatevi a tenerla nell’altro senso), con ogni verso incasellato come nei documenti più antichi. Non è il più antico codice di leggi della storia (ve n’è almeno un altro sempre in Mesopotamia, il codice di Lipit-Ištar di Isin 1934-1924 a.C.) e deve essere inserito in un contesto religioso oltre che giuridico, come dimostra la soprastante raffigurazione oltre che l’ambiente in cui era conservata (il tempio del dio sole a Sippar) e il prologo e l’epilogo di carattere celebrativo-religioso. Secondo alcuni studiosi il codice di Hammurabi non aveva un reale valore giuridico: perché scriverlo allora, perché suddividere la casistica in ben 282 leggi puntigliosissime? Benché pochi sapessero leggere, doveva avere una forte valenza simbolica e ideologica sapere che le leggi erano scritte in forma durevole e non opinabile. Nel XII sec. a.C. questa stele era ancora nel tempio di Sippar, quando gli invasori elamiti (Šutruk-Nahhunte 1170-1155 a.C.) la portarono nella loro capitale Susa, dove è stata ritrovata all’inizio del 1900 d.C.

Inno sumero all’arte della scrittura

L’arte della scrittura è la madre degli oratori, il padre dei maestri;
l’arte della scrittura è appassionante, non ti sazia mai;
l’arte della scrittura è difficile da imparare,
ma colui che l’ha appresa avrà il mondo in mano.
Cura l’arte della scrittura, ed essa a arricchirà;
sii diligente nell’arte della scrittura, ed essa ti riempirà di ricchezza e abbondanza.

non essere negligente nei confronti dell’arte scrittoria, non trascurarla, l’arte scrittoria è "sede di ricchezza", il segreto del dio Ammanki [= Enki],
lavora senza soste ed essa ti rivelerà i suoi segreti,
se la trascuri si faranno commenti malevoli nei tuoi confronti,
l’arte scrittoria costituisce un buon destino, ricchezza ed abbondanza;
da quando eri un fanciullo essa è stata per te causa di dolore,
da quando sei cresciuto ...
L’arte scrittoria è il nesso di tutto ...
Lavora duramente su di essa
[ed essa ti ...] la sua bella prosperità,
ad avere una conoscenza superiore della lingua sumerica,
ad apprendere ..., ad imparare l’Eme-sal [= "la lingua fine"],
a scrivere una stele, a disegnare [i confini di] un campo, a determinare bilanci ...
... il palazzo ...
Lo scriba possa essere suo [= dell’arte scrittoria] servitore,
egli chiama il canestro da lavoro della corvée...

Scribi, scuole, archivi

L’invenzione della scrittura secondo i Sumeri: Enmerkar e il signore di Aratta (scopi diplomatici).
Pochi sapevano leggere, scuola = casa della tavoletta, difficoltà degli studi (proverbi)...

Liste lessicali, dizionari sumero-accadici

Serie (antico-babilonese):

tu
ta
ti
tu-ta-ti
nu
na ...
Lista di letture fonetiche di un segno sumero
i
ne-e
za-al
di-gi
per il segno NI (í, ne, zal, digi)
Termini sumeri accompagnati da traduzione in accadico

Ideogramma, traduzione in eblaita (semitico), resa fonetica (III millennio a.C.):

inim-erím = ba-a-rí-tum = en-na-ma-en-ru12
parola cattiva (maledizione)

Iscrizioni nelle diapositive

ú at-da-ha-mi-
ti din-su-
iš-na-ak šá-ak
hu-ut-ra-an-te-
ip-ti-ha šu-šu-
un ha-ni-ih a-ak
pu-hu-ur šu-[šu-]
un-ra ir-ha-[ni-]
ih ....
Io (sono) ..., figlio di ...; Susa ho amato e i figli di Susa ho amato ...

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Persiceto, 22/VI/2000