Discussioni, osservazioni e domande

Un po' di corrispondenza elettronica (e non)...

Pesche persicetane

Parlando incidentalmente con Rosanna Verzani circa l'etimologia del nome del nostro comune (san Giovanni in Persiceto in provincia di Bologna), citavo a memoria la storiella di Ottaviano di passaggio che assapora una pesca persicetana. Alla domanda "Ma chi racconta questa storia?" però mi sono accorto di non saper rispondere, per quanto mi fosse chiaro che non poteva essere un Tacito o uno Svetonio. Per puro caso, fra i tre numeri di Strada Maestra (periodico della biblioteca comunale G.C. Croce di san Giovanni in Persiceto) che avevo a portata di mano, ho trovato un articolo dal titolo molto invitante...

Da Agostino BIGNARDI, ‘Gallego, Braia, Persicetum’, Strada Maestra, 1 (1968), pp. 35-40 [brano riportato pp. 39-40].

Avendo ricercato sinora la ragione etimologica di Gallego [n.d.r: il canale fra Persiceto e Sant’Agata che poi gira verso Decima] e di Braia, concluderemo con qualche annotazione sul nome stesso di Persiceto. La fantasia del cronista [n.d.r.: secentesco autore di Origini e prime vicende del Castello], che si era sbizzarrita creando guerrieri e fanciulle per un modesto canale e un antico mulino, per la nostra città scomoda nientemeno che Ottaviano imperatore. Il quale, guerreggiando con Antonio, avrebbe sostato a Persiceto, quivi ricevendo l’omaggio di un frutto allora raro e prezioso, di una pesca. Ottaviano gradì il dono e decise seduta stante di denominare Persicetum il borgo dove aveva gustato quella pesca (persica L.) così squisita.
Peccato che sia difficile credere a un pesco coltivato in Emilia prima di Cristo. Secondo il De Candolle la prima testimonianza dell’introduzione del pesco in Italia (pianta d’origine presumibilmente cinese, importata tramite la Persia) risalirebbe a un dipinto pompeiano, quindi ai primi decenne dell’era cristiana. La pianta avrebbe cominciato allora a diffondersi nel Meridione, ma sarebbe salita al nord solo più tardi. Quel ch’è certo è che nei papiri ravennati del VI secolo sono frequentemente ricordati hortalea, pomifera, vineae, olivae e anche persiceta: si trattava, come ho altrove ricordato, di colture di giardino, cioè di limitati impianti arborei allevati nei broli urbani e suburbani dove nell’alto Medioevo l’orticoltura e l’arboricoltura si rifugiano, colture pregiate che non era prudente attuare a pieno campo esponendole a furti e razzie, ma conveniva riservare agli annessi cittadini. Ecco dunque l’etimologia di Persicetum. Dubitiamo che abbia ragione il Monti quando ritiene che il nome Persiceto “sia derivato dalla coltura del pesco, assai diffuso fin d’allora e nel paese e ne’ dintorni” (11). Non c’è infatti bisogno di pensare a una improbabile diffusione della coltura del pesco: persicetum significa “pescheto, campo ad orto con piante di pesco”, e da un campo o da più campi, attigui a case dell’antico villaggio, venne il nome alla località, Persicetum o Persiceta. E’ abbastanza consueto che un nome comune diventi nome di località. Per fare i primi esempi che mi soccorrono, Linaro dalla coltura del lino, Gualdo dalla coltura della omonima pianta colorante, Oliveto da campi di ulivi.
E’ probabile che i peschi siano stati introdotti nell’agro che verrà detto persicetano in epoca bizantina: Ravenna bizantina fu centro diffusore di colture pregiate che spesso trovarono ricetto negli orti conventuali, e non distante da Persiceto l’abbazia nonantolana rappresenta un faro di civiltà anche agricola. Si ricordi che Persicetum e Nonantola sono molto probabilmente coevi.
Resta da dire, concludendo, che si è anche fantasticato di una etimologia di Persiceto da por-sexeto, che significherebbe “terra divisa”, accennando alla divisione e distribuzione dell’agro persicetano tra coloni latini. Fantasia per fantasia, preferiamo le poetiche storielle, care all’antico cronista, di Gallego e Braia o della pesca graziosamente donata ad Ottaviano. Né comprendiamo perché si debba ricorrere ad astruse e labili etimologie quando il nome comune persicetum per “campo di peschi” è così ben documentato nell’area emiliana, e si sa quanti toponimi derivino in siffatta maniera da nomi comuni – per così dire – nobilitati. Com’è accaduto al persicetum, al pescheto piantato dai nostri progenitori quasi sul margine delle antiche valli che bordeggiavano la grande Padusa.

Di seguito trascrivo il passo del Forni in cui si cita o riassume (purtroppo non è chiaro) l’anonimo cronista persicetano riguardo alla vicenda della pesca. Quando torno a Persiceto, spero di poter consultare un’edizione integrale della cronaca, perché sono molto curioso di sentire la viva voce del fantasioso cronista...

Da Giuseppe FORNI, Persiceto e san Giovanni in Persiceto, ‘Tradizioni e leggende sulle origini e vicende di Persiceto (anno 352 a.C. - anno 728 d.C.)’.

Un anonimo, che si crede un Notaio Persicetano, vissuto nel secolo XVII, scrisse una cronaca, che appunto fu detta la Cronaca anonima, trascritta ed ampliata di poi dal canonico Anselmo Anselmi, forse col buon intendimento di attribuire al suo paese natio origini illustri e remote; e con molta ingenuità narrò avvenimenti, citò date e luoghi, indicò persone e circostanze con tanta sicurezza e precisione, così come s´egli fosse vissuto a quei tempi e per tanti secoli avesse personalmente assistito ai fatti da lui narrati.
Ma le sue leggendarie narrazioni, non solo non reggono all´esame della critica più benevola, ma non ci lasciano neanche adito a supporre che sotto il velo del racconto allegorico si possa nascondere qualche briciolo di verità.
Possiamo quindi senza titubanza recisamente affermare che tutto quello che è stato scritto di Persiceto e di S. Gio. Persiceto, da non confondere l’uno con l’altro, fino all’anno 728 d. C., nel quale, come vedremo, trovasi per la prima volta nominato, perché in detto anno Liutprando, XIX nella serie dei Re longobardi, lo conquistò e forse lo distrusse, non è che il parto di una eccitata fantasia ...
Ed ora siam giunti al punto in cui il nostro cronista ci porge con una graziosa storiella una attendibile spiegazione anche del nome di Persiceto, conservato fino a noi, e racconta: che Ottaviano soggiornò a Forum Pompei e lo fece sua piazza forte di guerra; lo aggrandì con recinti, borghi e ponti levatoi, giacchè prima non vi erano che sbarre a capo delle strade (3) con una torre che scopriva il paese; e d’allora cominciò ad essere terra murata di molto riguardo; e poiché qui vennegli offerto dagli abitatori un frutto, allora sconosciuto e di molto sapore, proveniente dalla Persia e perciò denominato Persico, così fu tale l´aggradimento di Ottaviano, che volle con un suo decreto che quella terra si chiamasse d´allora in poi Persiceto, accordando al suo popolo un tribuno col cappello ed alla milizia un centurione colla fascia di cavaliere!

Secondo l’ipotesi di Ludovico Pasquali (non so se da lui ideata o ripresa da altri), Persiceto deriverebbe dal latino persecatum con riferimento alla centuriazione (parallela alla via Emilia) tagliata in diagonale dalla strada che collegava Persiceto a Bologna. Io sono sempre stato favorevole a questa ipotesi, giudicando fantasiosa quella del pesco, ma ignoravo che persiceta fosse un termine diffuso nel lessico agricolo alto medioevale. Quest’ultimo fatto mi sembra abbastanza probante: mi aspetterei però che ci sia qualche altra località italiana così denominata); inoltre, sarebbe interessante sapere a quando risale la prima attestazione dell’albero di pesca nello stemma del comune.

Ma come eravamo arrivati a parlare di Ottaviano e della pesca???

Lo stemma di Persiceto
Per quel che riguarda lo stemma di Persiceto, Massimo Ghirardi ha raccolto un'interessantissima serie di notizie e le ha rese fruibili a tutti in Internet. Mi permetto di copiare integralmente le sue annotazioni, segnalando innanzitutto l'indirizzo della pagina originale:
<www.araldicacivica.it/Emilia/Comuni%20bo/san%20giovanni%20in%20persiceto.htm>. In attesa di consultare la documentazione originale, l'impressione è che lo stemma preceda di poco la diffusione della storiella di Ottaviano ad opera dell'anonimo cronista.
Lo stemma risale al XVI secolo ed è stato riconosciuto dal capo del Governo, Benito Mussolini, il 23 ottobre 1928 con i seguenti elementi: “campo di cielo, all’albero di persico fruttato, al naturale, nodrito, su pianura di verde; capo d’Angiò sostenuto da una fascia di rosso”.
L’arme è quindi da considerare “parlante” dato che l’albero di pesco coi frutti a vista allude direttamente al nome del Comune di PERSICETO (decreto del re Vittorio Emanuele II del 18 luglio 1912 richiesto dal sindaco pro tempore Odoardo Lodi) e nella versione antica stava sradicato e sospeso in campo.
Nell’ 800 furono aggiunti elementi naturalistici come la “campagna” , le erbe palustri e i giunchi, simboli della fiorente economia locale.
Nel 1928 il podestà Arturo Bosi Menotti richiese il ripristino dell’antico nome legato al santo patrono titolare della collegiata.
Il capo testimonia l’adesione al partito di Carlo d’Angiò, sceso in Italia nel 1265 per rivendicare il trono di Napoli con l’appoggio del papa e dei Comuni guelfi e, in seguito, emblema dei Comuni filo-papali. La fascia rossa è un segno d’onore.
Papa Gregorio XVI nel 1838 concesse il titolo di “città”, in seguito riconosciuto nel 1928.

Traduzioni archeoastronomiche

Ravenna, 8 ottobre 2004
Napoli, 12 ottobre

Cara Chiara,
innanzitutto mi permetto di darti del tu e ti invito a fare altrettanto. Scusa il ritardo ma sono reduce da un impegnativo viaggio all'estero. In realtà non sono un esperto di archeoastronomia, comunque provo ad aiutarti.

MC> 1) come tradurre le parole "cosmical setting"? Si tratta del
MC> tramonto poco prima del sorgere del sole, il primo tramonto
MC> osservabile? Lo posso chiamare tramonto "cosmico"??

Decisamente sì; mi pare di averne parlato anche nella mia lettera a Coelum. E' il primo tramonto osservabile sull'orizzonte occidentale poco prima del sorgere del sole ad oriente. Per "cosmico" si intende praticamente "al sorgere del sole". Schiaparelli lo chiama anche "occaso mattutino" ("occaso" significa "tramonto" quindi "tramonto al mattino").

MC> 2) ho trovato
MC> scritto che gli assi est-ovest di tre palazzi minoici "fall within
MC> the 29°45' range between the equinoctial mid-point and the point
MC> to the south called that of the winter solstice". Come posso
MC> tradurre correttamente l'espressione?

Io tradurrei letteralmente che "gli assi est-ovest dei tre palazzi in questione cadono entro l'angolo di 29°45' formato dal punto medio equinoziale e il punto verso sud detto del solstizio invernale".

MC> E cosa si intende per "equinoctial mid-point"?

Purtroppo non ho qui a portata di mano l'Explanatory supplement to the astronomical almanac o qualche libro di Meeus. Credo che per "punto medio equinoziale" si intenda in senso tecnico il punto di intersezione delle linee che compongono la figura a forma di "8" detta lemniscata; tale figura viene di solito riprodotta sulle meridiane, ma altro non è che la figura ottenuta dalle singole posizioni in cielo del sole fissate ad una stessa ora di tempo medio (quello dei nostri orologi) nel corso dell'anno. Tale punto medio rappresenta la posizione del sole (identica) ai due equinozi.

Comunque lascia perdere la lemniscata: per punto medio si intende semplicemente l'intersezione fra eclittica ed equatore celeste (quest'ultimo chiamato "equinoctial", usato come sostantivo, in inglese). Nel caso specifico (sott)intendo "il punto dell'orizzonte in cui sorge il sole quando il sole si trova sul punto medio equinoziale" ovvero in pratica semplicemente l'asse est-ovest, cioè la linea immaginaria che unisce i due punti in cui sorge e tramonta il sole agli equinozi ovvero, per qualsiasi luogo sulla Terra, i punti cardinali est e ovest.* Allo stesso modo (sott)intendo poco dopo "il punto dell'orizzonte più a sud in cui, PER QUELLA DATA LOCALITÀ, sorge il sole al solstizio di inverno". Si tratta però di una mia deduzione e la frase che mi riporti mi convince poco, sicuramente a causa della mia ignoranza, perché per il solstizio ho sottinteso il sorgere, ma potevo sottintendere anche il tramonto, e in tal caso l'orientamento sarebbe radicalmente cambiato perché i due punti del sorgere e tramonto sull'orizzonte non formano un angolo di 90°.

Ho verificato però che a Cnosso al solstizio d'inverno il sole sorge ad un azimut di 119°, ovvero proprio 29° verso sud dal punto cardinale est (azimut = 90°).

* A dire il vero, questo è strettamente vero solo per quelle località della Terra, anno per anno diverse, in cui il sole sorge nell'istante esatto dell'equinozio. Ma a causa del movimento continuo del sole lungo l'eclittica, al tramonto il sole si sarà già spostato quel tanto da tramontare quei 6-7 decimi di grado più in là rispetto al punto cardinale ovest, per cui in senso stretto si tratta di un'affermazione falsa!

MC>  Lo stesso discorso vale per un asse di un
MC> palazzo che "falls some 37.5° south of the line of the equinox".

In questo caso deduco quindi che "cade circa 37.5° a sud della linea dell'equinozio" ovvero ad un azimut di 90° (=punto cardinale est) + 37.5° = 127.5° (anche qui ho preso come riferimento il sorgere agli equinozi, se fosse il tramonto dovrei prendere l'ovest e sarebbe un azimut di 270° - 37.5°).

Di più non so dire. Spero di non averti confuso le idee. Se trovi che mi sono sbagliato, correggimi!

Cari saluti,
Gian Pietro Basello

Appunti per avvicinarsi alla matematica astronomica
(con l'ausilio del computer)

Napoli, 2/lug/2004 14:55
# Re: Effemeridi #

Caro Stefano,
ti accenno alcune cose che richiederebbero però interi volumi.

Software astronomici (planetari software) ce ne sono un sacco: per esempio, Skymap è semplice, veloce e shareware (www.skymap.com); altri indulgono molto di più alla grafica, all'estetica e al "realismo" come Celestia (che ora va molto di moda; <http://celestia.sourceforge.net> : dai un'occhiata alla Gallery) o il vecchio Dance of the Planets (<www.arcscience.com/dance.htm>).

A questo indirizzo ne trovi altri:

http://astronomia.altervista.org/software/software.php?id=Planetari

Ma ciò che interessa a noi è la precisione con cui vengono calcolate le posizioni degli oggetti astronomici e quindi la teoria planetaria (o lunare etc.) che viene implementata in ciascun programma.

Le posizioni planetarie possono essere calcolate attraverso una teoria analitica o grazie all'integrazione numerica. Ti rimando all'introduzione di questo scritto di Aldo Vitagliano che mi sembra molto chiara:

http://chemistry.unina.it/~alvitagl/solex/numint.pdf

Fra le teorie analitiche, le più recenti sono la VSOP87 di Bretagnon e Francou per sole e pianeti e la ELP2000 di Chapront e Chapront-Touzé per la luna. Non so se è l'unico, comunque un software che implementa tutte le serie numeriche di queste due teorie è sicuramente Guide (www.projectpluto.com) che acquistai originale fin dalla sua versione 6 che era assai spartana; oggi è giunto alla versione 8 e ho poi scoperto che anche Salvo De Meis lo usa ed è in contatto con l'autore. Posso assicurarti che fa delle cose straordinarie.

Per l'integrazione numerica, c'è l'interfaccia web Horizon (http://ssd.jpl.nasa.gov/horizons.html) del JPL NASA che è un punto di riferimento assoluto. Un riferimento alle fonti per il calcolo delle effemeridi per ciascun corpo celeste si trova a questo indirizzo:

http://ssd.jpl.nasa.gov/horizons_doc.html#sources

Per i pianeti si usa generalmente l'integrazione numerica DE403. Abbiamo anche un'ottimo prodotto italiano, SOLEX, di Aldo Vitagliano di Napoli:

http://chemistry.unina.it/~alvitagl/solex/
che si sta rivelando davvero eccezionale.

Se il software non visualizza il cielo virtuale, ma fornisce solo ascensione retta e declinazione dell'oggetto desiderato, bisogna convertire le coordinate equatoriali in altazimutali per sapere in quale zona del cielo si trova il suddetto oggetto. (Ovviamente con un telescopio su montatura equatoriale basta impostare sui cerchi graduati le coordinate equatoriali per inquadrare l'oggetto, sapendo però sempre il tempo siderale -vedi sotto)

Le coordinate equatoriali si misurano in ascensione retta (0° = punto d'Ariete, ovvero nodo [= intersezione] ascendente [= il sole lo attraversa aumentando man mano la propria declinazione all'equinozio di primavera] dell'eclittica con l'equatore celeste. L'eclittica è il percorso apparente del sole che è inclinato di circa 23° rispetto all'equatore celeste; ovviamente è la Terra che ruota su se stessa con un'inclinazione di circa 23° rispetto al piano di rivoluzione attorno al sole) e declinazione (0° = equatore celeste; 90° = polo nord celeste, proiezione di quello terrestre). Il punto di riferimento è l'equatore celeste, proiezione virtuale in cielo di quello terrestre.

Le coordinate altazimutali si misurano in azimut (0° = nord; 90° = est etc.*) e altezza (0° = orizzonte; 90° = zenit).

* Nota postuma: Meeus però misura l'azimut da sud verso ovest. Vedi il capitolo dedicato alla trasformazione di coordinate in Astronomical Algorithms.

Per passare dalle coordinate equatoriali alle altazimutali (ovvero sapere dove si trova un corpo celeste avendo come punto di riferimento l'orizzonte locale e i punti cardinali) basta seguire le formule classiche riportate ovunque e soprattutto in Meeus, Algorithms, cap. "Transformation of coordinates" se non ricordo male. Fra le variabili che entrano in gioco c'è ovviamente la latitudine e la longitudine geografica della località da cui si osserva, e anche (volendo essere precisi) l'altitudine rispetto al livello del mare (che è a sua volta una complicata media delle maree etc. etc.).

Coordinate equatoriali e altazimutali coincidono come puoi intuire al polo nord. All'equatore avremo invece l'equatore celeste che taglia sempre i punti cardinali est e ovest passando per lo zenit. E così via: tutto il problema è dato dalla latitudine a cui uno si trova. La longitudine va vista in relazione all'altra variabile, il tempo: alla fine tutto si risolve calcolando il tempo siderale ovvero l'ascensione retta al meridiano [termine che in senso stretto indica il cerchio massimo passante per lo zenit che taglia i punti cardinali nord e sud] che è una misura locale, cioè varia a seconda della longitudine cui ci troviamo, ed è identico a parità di longitudine (cambiando la latitudine). In pratica il tempo siderale per un dato istante è l'ascensione retta corrispondente ad azimuth 180 cioè sud. Proprio per comodità nei confronti del tempo siderale, l'ascensione retta non si misura tanto in gradi quanto in ore e minuti (360° = 24 ore, 1 ora = 15°). Avendo il tempo siderale, si può facilmente misurare l'angolo orario ovvero i gradi verso est o ovest rispetto al sud in cui si trova l'oggetto desiderato (tu segui tutto su Meeus ovviamente).

Non c'è bisogno che ti dica che, a causa del movimento di rotazione della Terra, il sole e tutti gli altri corpi celesti sorgono ad est, culminano (cioè raggiungono il punto più alto nel cielo, almeno per quella data giornata nel caso di oggetti in movimento come i pianeti) a sud (cioè sul meridiano) e tramontano a ovest. Inoltre il polo nord celeste si trova sempre a nord ad un'altezza pari alla latitudine del luogo. Ne consegue che le stelle aventi declinazione compresa fra 90° e la latitudine del luogo non sorgono o tramontano mai (in quella data località) e sono dette circumpolari. Al polo nord si vedranno sempre tutte le stelle aventi declinazione positiva. All'equatore non esistono stelle circumpolari perché il polo nord è esattamente sull'orizzonte nord e il polo sud sull'orizzonte sud.

Questo vale oggi. Nel caso di astronomia antica, entra in gioco anche il maledetto Delta T. C'è un bell'articolo di Meeus sul suo Morsels II (se non ricordo male) che spiega quando bisogna tener conto del Delta T (e quando invece non influisce sui calcoli). In due parole, la velocità di rotazione della Terra è in continuo e variabile (impredicibile) rallentamento. Bada, si tratta di una quisquilia, ma sommando tale quisquilia per giorni, mesi, anni, secoli, ci ritroviamo con un Delta T di 4 ore nel 500 a.C. Per parlare di Delta T, avrei dovuto dire subito che il tempo astronomico si misura in tempo universale (UT o TU in italiano) che è in pratica l'ora di Greenwich ovvero il tempo locale medio a longitudine terrestre 0°. E' un concetto molto più complicato di quanto può apparire e ti rimando quindi a:

http://aa.usno.navy.mil/faq/docs/UT.html

L'UT varia quindi con il variare della rotazine terrestre. Il calcolo delle effemeridi richiede invece un tempo costante, per intenderci quello di un orologio atomico. Questo è (semplificando) il tempo dinamico, e anche qui ci sono due tipi di tempo dinamico ma la differenza è minima. Il Delta T è la differenza fra TD e UT per una data epoca. Dal 1620 in poi abbiamo dati osservativi. Prima dobbiamo fare delle stime confrontando ad es. l'ora di inizio di un'eclisse per una data località secondo la nostra misura in TD con l'ora locale segnalata da un documento antico o tavoletta. Su come ricavare dei dati scientifici interpolando varie stime, c'è un bellissimo articolo di Huber (se non sbaglio) in Astronomical Amusement, quel libro blu di Mimesis che ti diedi. Io di quell'articolo (che mi interessava tantissimo) non ci capii niente, quindi poi me lo spiegherai, avendo tu tutti le conoscenze per capirlo). In pratica il Delta T è importantissimo: se il valore da noi usato fosse sbagliato per una certa epoca, un'eclisse calcolato potrebbe non essere stato in realtà visibile in un dato luogo per il semplice fatto che a quell'ora la Terra era già girata più in avanti o indietro.

Ti rimando alla pagina 'Analytical Relations for Delta T before the Telescopic Era':

http://www.phys.uu.nl/~vgent/astro/deltatime.htm#Semi-Empirical

Il software Guide permette, oltre ad essere affidabile anche per epoche remote implementando intelgralmente le suddette teorie analitiche, di specificare diverse formule per calcolare il Delta T a seconda dell'epoca storica, e permette anche di personalizzarle se non ci soddisfano.

Ovviamente per epoche diverse da quella attuale variano anche altre "costanti" (cioè in realtà variano in continuazione seppur minimamente): ad esempio l'inclinazione dell'eclittica e il punto d'Ariete. Questo fenomeno è detto "precessione degli equinozi". Di fatto quindi neanche una stella ha una sua propria ascensione retta o declinazione invariabile. Per le stelle bisogna poi tener conto del "moto proprio", in quanto seppur molto lentamente data la distanza, anche'esse si muovono cioè si allontanano da noi. C'è poi la nutazione, l'aberrazione annua e tante altre cose, tutte ben illustrate da Meeus o dall'Explanatory Supplement of the Astronomical Almanac che ti prestai tempo addietro. Horizon e Guide tengono conto di tutto, calcolando la posizione dell'oggetto sia geocentrica (cioè per un'ipotetico osservatore posto al centro della Terra) sia locale (cioè intendo tenendo conto della parallasse -è ben evidente nel caso di corpi vicini come la luna- locale rispetto alla posizione geocentrica).

Spero -ma non credo, perché ho detto troppe cose- di esserti stato utile. In ultima analisi studia bene il capitolo di Meeus sulla trasformazione delle coordinate (anche la faccenda dell'angolo orario) e quello sul calcolo del tempo siderale.

Ti raccomando infine:

Cari saluti,
Gian Pietro

La scrittura aramaica

Lunedì 31 maggio 2004

Caro Gian Pietro,
[...] inoltre, volevo ancora chiederti, se puoi fornirmi l'alfabeto originale in Aramaico con relativa traduzione in italiano, se non puoi tu, conosci qualche sito dove posso trovarlo, quelli che ho visitato avevano solo l'alfabeto senza traduzione.

Ciao Maria

Ravenna, 9 giugno 2004 22:18

Cara Maria,
mi chiedi troppe cose, molte delle quali conosco a malapena! Per l'aramaico spero invece di poterti aiutare.

Nelle immagini allegate "aramaico1" e "aramaico2" troverai due belle tavole che comparano diversi tipi di scrittura aramaica mostrandone l'evoluzione cronologica (in basso trovi i secoli "cent." a cui risalgono partendo dalle grafie più antiche a sinistra fino alle più recenti a destra nella seconda tavola). Vedi anche come cambiano i caratteri: più spigolosi nelle iscrizioni su pietra, molto più corsivi sui più recenti papiri. A questo proposito, nell'immagine "aramaico_qumran" troverai alcune grafie attestate nei manoscritti di Qumran.

Queste tavole fanno riferimento (vedi prima colonna sulla sinistra; prima a destra nell'immagine "aramaico_qumran"), come è consuetudine, alle corrispondenti grafie delle lettere secondo la scrittura ebraica detta "quadrata", quella delle moderne bibbie ebraiche a stampa.

Come saprai, aramaico ed ebraico condividono lo stesso patrimonio fonetico (usano cioè gli stessi suoni) e si potrebbe scrivere tranquillamente in caratteri "quadrati" qualsiasi testo aramaico senza perderci nulla* (e infatti così si fa nelle edizioni a stampa di testi aramaici) e viceversa.

* Cioè mantenendo una corrispondenza univoca fra le lettere del testo aramaico e quelle del testo ebraico e mantenendone inalterata la pronuncia.

Per risalire al nome della lettera e al suono corrispondente, usa le due tavole "ebraico1" ed "ebraico2" (che illustrano la scrittura ebraica "quadrata" [da Muraoka]). Accanto alla lettera ebraica "quadrata" troverai infatti il nome della lettera e la sua pronuncia. La tavola è tratta da un libro in inglese e dà la pronuncia in base al patrimonio fonetico dei parlanti inglese. Se ti trovi in difficoltà con l'inglese, recupero qualche tavola in italiano che in questo momento non ho a portata di mano.

Quando parli di "traduzione in italiano" credo che intendi la traslitterazione (colonna "transliteration") di un carattere ebraico o aramaico in caratteri latini (cioè questi che sto usando ora per scriverti). La traslitterazione è una convenzione di comodo quando, soprattutto in passato, non era facile come ora usare direttamente i caratteri ebraici in un testo a stampa o elettronico (come un documento Word). Non è detto quindi che la pronuncia di una lettera corrisponda perfettamente a quella del relativo carattere latino traslitterato secondo le convenzioni, nel nostro caso, della scrittura italiana. Ad esempio, la lettera "g" si pronuncia sempre come in it. "gatto" o "gola", mai come "gelo". Infatti il nome della lettera, "gimel", pur traslitterato così, si pronuncia con la stessa "g" di "gatto", che in italiano seguita da "i" si esprime graficamente con "gh": quindi si traslittera "gimel" ma si pronuncia "ghimel" (e non si dovrebbe mai scrivere "ghimel" perché la convenzione è che quella "g" scritta ha sempre il suono della nostra grafia "gh"!).

Tutte queste tavole illustrano le scritture aramaica ed ebraica che sono, con l'eccezione delle cosidette "matres lectionis" (segni consonantici che in particolari contesti indicano la presenza di una certa vocale e non di un'altra), scritture consonantiche, ovvero che non scrivono le vocali (le quali si presuppone il parlante possa reintegrare con facilità al momento di leggere mentalmente o ad alta voce). Quando si decise di fissare il testo biblico nella maniera più accurata possibile (VII sec. d.C.), vennero messi a punto alcuni segnetti e pallini da apporre sopra o sotto i caratteri consonantici "quadrati" in modo da indicare senza lasciar spazio a dubbi o interpretazioni personali anche i suoni vocalici.

Non so se era questo che cercavi.

Tante belle cose,
ciao,
Gian Pietro

PS Alcune pagine molto interessanti:

e anche

Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?

Venerdì 21 maggio 2004 2:24:03 PM

Ciao Gian Pietro sono Maria,
ero ansiosa di comunicarti che oltre a leggere tutto dalla tua corrispondenza ho anche stampato cose che cercavo da una vita. Sono appassionata oltre che credente, di tutto ciò che riguarda l'aramaico i vangeli apocrifi e tutto quello concatenato alla vita di Gesù.

Dunque volevo sapere cosa si può dire alle persone che chiedono "perchè allora Gesù sulla croce ha detto «Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?» se era figlio di Dio ecc...ecc.." vorrei il tuo parere cosa pensi di questa frase di Gesù???

Napoli, 28 maggio 2004 09:24

Cara Maria,
ti ringrazio per la tua lettera generosamente entusiastica. Per quel che riguarda la parole di Gesù, devo dire che mi prendi un po' alla sprovvista. E' venerdì e, siccome posso collegarmi ad Internet solo dal dipartimento della mia università, butto giù due note alla rinfusa perché mi dispiaceva lasciarti senza risposta fino a lunedì.

Generalmente si pone in rilievo il fatto che accanto all'abbandono di Dio ("perché mi hai abbandonato") c'è pur sempre la fede del credente che continua a rivolgersi a Dio in quanto tale ("Dio mio, Dio mio").

Dico "credente" in genere perché Gesù, come ben sai, non dice niente di nuovo ma si limita a citare il primo versetto del salmo 22, un salmo che è stato pregato da generazioni e generazioni di ebrei prima e di cristiani dopo.

Credo quindi che proprio in quest'ottica vada visto il grido di Gesù: Gesù, nel momento culminante della sua esistenza terrena, più che -per così dire- lamentarsi, prega.

Gesù dunque stava re-citando il salmo 22. Molti studiosi infatti sono concordi nel sostenere che l'evangelista si limita a citare il primo versetto per indicare tutto il salmo, come dire oggi che «un uomo in difficoltà ha gridato (il) "Padre nostro"». In questo caso basta leggersi tutto il salmo per rendersi conto che il senso di abbandono e separazione viene ampiamente superato.

Comunque direi che dal testo greco è chiaro che Gesù "grida" e non so quanto si possa gridare un intero salmo di 30 versetti. Ciò tuttavia non toglie nulla al fatto che Gesù citava coscientemente il versetto di un salmo che molti dovevano ben conoscere nella sua interezza.

Dico "molti" notando che fra l'altro questa frase di Gesù è significativamente riportata in aramaico, la sua lingua madre, e ti risparmio le discussioni sulle due forme leggermente diverse fra Matteo 27,46 e Marco 15,34 che è roba per filologi superspecializzati. Se "Eloi" infatti è praticamente ebraico, la forma verbale è senza dubbio aramaica: nel testo ebraico del salmo si usa infatti "azavtani".

Dico "molti" ma forse sbaglio, in quanto è significativo il fraintendimento messianico (Marco 15,35) degli ascoltatori che prendono "Dio mio" per il nome di Elia (di cui ci si aspettava il ritorno messianico, vedi il posto per Elia nella cena pasquale ebraica). [Per inciso, aggiungo che l'aceto (Marco 15,36) dato da bere a Gesù era il normale integratore minerale a quei tempi: non era quindi un gesto di oltraggio, anzi, per quanto accompagnato da parole ironiche.]

Si potrebbe discutere infine sul significato preciso di tale verbo, sia nella forma aramaica che ebraica.

Ti cito san Tommaso d'Aquino:

Bisogna dire che quell'abbandono è da rapportarsi non alla scissione dell'unione personale, ma al fatto che Dio Padre lo espose o sottopose alla Passione. Perciò in quel caso abbandonare non significa altro che non proteggerlo dai persecutori. [III, 50]

Dio quindi non ha "abbandonato" il figlio, semplicemente "non lo aiuta" ma questo "non aiutare" fa parte di un disegno ben preciso che va letto insieme a Matteo 26,36 (Gesù nell'orto degli ulivi che non vorrebbe bere il calice... che è poi il "calice della salvezza" (Salmi 116,13): sul significato della parola "Calice", ci devono essere due righe sul mio sito nella pagina sulla settimana santa).

Insomma si potrebbero dire tante cose, e fare senz'altro ulteriori approfondimenti (ad esempio, vedere quando viene recitato il salmo 22 nella liturgia ebraica, sia ora, sia soprattutto al tempo di Gesù, purtroppo non ho sotto mano qui il libro che suddivide i salmi secondo i momenti della preghiera ebraica; nella liturgia cristiana non a caso viene recitato il venerdì santo e il giovedì santo mentre viene spogliato l'altare), rimane il fatto che le parole di Gesù sono profondamente radicate nella sua umanità sofferente e allo stesso tempo si protendono con forza verso Dio. Un'apparente contraddizione (quella della sofferenza e del male in un mondo che crediamo governato dal Bene ma che non tende al bene) che continuerà a provocarci ogni giorno della nostra vita.

Queste sono solo alcune riflessioni alla rinfusa, della cui approssimazione mi scuso, senza alcuna pretesa di essere quelle giuste (d'altronde non ho nessuna autorità in questo senso, tantomeno su parole così profonde e dette in un momento così forte).

Cari saluti e scusami se alla fine ti ho scritto questa pesantissima lettera rileggendola a malapena,
Gian Pietro

Un professore mi chiede informazioni sul termine elamico usato in corrispondenza dell'antico persiano nāviyā nella grande iscrizione trilingue del re Dario a Bisotun.

Napoli, 17 marzo 2004

Dove la versione antico-persiana riporta nāviyā [DB OP I 86 (§18)], l’elamico presenta una lacuna che pone notevoli problemi di lettura e interpretazione.

Riporto la più recente traslitterazione del passo [Grillot-Susini et alii 1993: 25]:

ku-ut-táhAmeš[ha?-]ahhGIŠ.MÁmeš-name-ni...[DB El I 68 (§17)]
eacqua/fiume?barca-diallora...

Il testo presenta una lacuna di un segno [Weissbach 1911: 24, nota a, che rimanda a King & Thompson 1907] proprio nel punto cruciale. Proviamo quindi a guardare la traduzione proposta [Grillot-Susini et alii 1993: 45]:

Et le fleuve [nécessit]ait? des embarcations: alors ...

Stupisce come non sia data alcuna spiegazione a sostegno di tale traduzione, nemmeno un rimando bibliografico. Di fatto il testo è praticamente rimasto invariato rispetto alla collazione di Cameron fatta negli anni 1948 e 1957 e così pure direi la sua interpretazione. Rimando direttamente a Cameron 1960: 64 che allego in scansione.

Guardando il glossario in Hallock 1969 emerge però un dubbio rispetto all’argomentazione di Cameron: gli altri due casi di prestiti di forme del verbo ‘essere’ antico-persiano in elamico sono forme cristallizzate composte con un aggettivo, mentre nel passo in esame abbiamo un logogramma (‘l’acqua’).

Purtroppo in questi casi il dizionario Hinz & Koch 1987 è di poco aiuto: evidentemente Hinz integra in maniera diversa (come lascia sospettare l’accenno in Cameron 1960: 64), ma non dando alcun rimando rispetto alla lettura tradizionale è pressoché impossibile trovare la sua proposta di lettura nelle oltre 1300 pagine di dizionario (purtroppo è proprio il primo segno ad essere integrato). Concludiamo confrontando la versione accadica:

ÍD IDIGNAma-liár-ki...[DB Akk §18; Malbran-Labat 1994: 96].
le Tigreétait en crue;alors...[Malbran-Labat 1994: 111].
The Tigris riverwas in flood...[Von Voigtlander 1978: 56].

Qui l’elemento semanticamente connotato è il verbo malû (III) con significato di “fill up with (water)” [Black et alii 2000: 194]. La traduzione ‘trilingue’ in Lecoq 1997: 193-194 riporta:

(OP) et les eaux étaient navigables ; alors ...
(El) le fleuve était pour les bateaux; alors ...
(Akk) le lit tout entier du Tigre était plein; alors ...

Così su due piedi non saprei proprio dire su quali elementi si basi la traduzione della versione accadica, che comprende chiaramente anche la precedente frase delle altre due versioni (ÍD ku-ul-lu-’ che però mi sembra con pochi dubbi “tenevano il fiume”; comunque non appare nella traduzione di Lecoq la ripetizione di ÍD ‘fiume’).

Se l’argomento interessa, sicuramente Grazia Giovinazzo ne sa di più. Riguardo ad Hinz, dovrei controllare eventuali note nei suoi articoli relativi a DB.

Riferimenti bibliografici
nāviyā- ‘navigability’, i.e. ‘impossibility of fording the river on foot’. Hardly collective, ‘collection of ships, flotilla’, and certainly not lsf. to nāv-, ‘on shipboard’. nāviyā nsf. DB I 86 (§18) [Kent 1953: 193].

Mattoni elamici

Questo scambio di e-lettere inizia con una telefonata in cui una laureanda in Archeologia Orientale mi chiede informazioni sul termine elamico agurru.

20 gennaio 2004

Cara Guendalina,
mi permetto di darti del tu e ti invito a fare altrettanto. Ti incollo di seguito alcune note in fretta. Fammi sapere se ti servono altre informazioni.

Gian Pietro

Napoli, 15/gen/2004 12:54
# agurru #

Allora io ho trovato innanzitutto

a-gur-ru DSf 36 = Backstein - ap. [ ], el. ]a-kur[.

in (p. 14):

Rössler, Otto (1938) Untersuchungen über die akkadische Fassung der Achämenideninschriften. Inaugural-Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde genehmigl von der Philosophischen Fakultät der Friedrich-Wilhelms-Universität zu Berlin, Berlin; Tag der Promotion: 26. Oktober 1938 Tag der mündlichen Prüfrung: 24. Juni 1937.

Pur datata, trattasi dell'unica grammatica dedicata al babilonese delle iscr. achemenidi, con tanto di glossario (il recente libro della Malbran-Labat* si occupa solo di Bisotun e si limita a prendere atto della grammatica senza troppi commenti).

* Malbran-Labat, Florence (1994) La version akkadienne de l'inscription trilingue de Darius à Behistun (Documenta Asiana 1), Roma.

L'edizione del testo elamico dell'iscrizione è:

Vallat, François (1972) ‘Deux inscriptions élamites de Darius 1er (DSf et DSz)’, Studia Iranica 1, pp. 3-13 and plates 1-3.

che traslittera così il termine elamico per agurru (p. 10):

ak-ka4-pe3 h.ha-ku-r]u-i[sh hu-ut-tash-]ta2 (DSf EL 46)

dove h. corrisponde al cuneo orizzontale, segno ASH, utilizzato come determinativo davanti ai nomi di luogo e in generale come indicazione locativa) e traduce tutta la frase (righe 45-46, p. 11):

"[qui firent les briques cuit]es"

Il dizionario inedito di Vallat (1977) riporta come traduzione "brique cuite". Il glossario in Hallock, PFT (1969) riporta:

hakurush(?) ([h.ha-ku-r]u-i[sh] DSf 46, doubtful restoration) "baked brick(s)," = Akk. agurru.

Sul dizionario di Hinz & Koch (1987) non riesco proprio a trovare il lemma, quindi una cosa è sicura: Hinz integra in maniera diversa e bisognerà sfogliarsi mezzo dizionario per individuare la sua lettura o traslitterazione estrosa.

L'Akkadisches Handwoerterbuch di Von Soden (1965) conferma che in babilonese agurru è il mattone cotto.

Concludendo, si tratta di un hapax preso a prestito dal babilonese. Se servono altre informazioni sui mattoni (per lo più crudi, però) in Elam, sono a disposizione!

29 gennaio 2004

Carissimo Gian Pietro,
mi permetto di disturbarti ancora perchè ho proseguito le mie ricerche e, da quanto mi risulta (anche se non sono certo la fonte più attendibile), a Susa il mattone crudo è prevalente.

Il mio dubbio si rinnova: perchè, se il mattone crudo è prevalente, citare solo quello cotto, per di più prendendo in prestito un termine da un'altra lingua? Esiste un termine per indicare il mattone crudo?

Inoltre ho riguardato le traduzioni dell'iscrizione di Susa che avevano destato il mio dubbio: Leqoc traduce con "brique", senza ulteriori spiegazioni; Frye parla di mattoni cotti, Ghirshman di mattoni crudi (ma la Délégation Française ci ha scavato a Susa, forse la traduzione è viziata dall'esperienza diretta...) e Sabatino Moscati (mi rendo conto, però, che non era il suo specifico campo) parla di mattoni cotti.

Mi rendo conto che le mie fonti non siano granchè, ma io non sono una filologa e testi più specifici richiedono conoscenze linguistiche che non possiedo.

29 gennaio 2004

Napoli, 29/gen/2004 12:39
# Re: agurru #

Cara Guendalina,
agurru è sicuramente il mattone cotto (come risulta dal Chicago Assyrian Dictionary o da AHw) in opposizione a libittu. E' vero che può assumere anche il significato traslato generico di 'lastra, piastrella', intesa però come pavimentazione per esterni o protezione per muri sempre esterni. Inoltre vale anche per 'mattone smaltato' ('glazed brick') il ché è ovvio in quanto il vetro andava cotto. Il mattone cotto richiede più lavorazione ed è più resistente, quindi veniva usato in contesti di archittettura pubblica o, soprattutto, legata al potere, nonché per restaurare edifici in mattoni crudi.

Quindi non mi stupisce che Dario (o chi per lui) abbia voluto usare specificamente agurru per sottolineare che erano mattoni cotti, non crudi, come a dire 'di alta qualità'. Che poi Dario abbia detto una bugia, che abbiano usato solo due mattoni cotti e tutti gli altri crudi, vedi tu.

Potrebbe invece stupirci un po' il fatto che usi agurru quando tutta la tradizione in accadico da Susa ignora questo termine per usare una forma locale (ma sempre scritta in accadico, cioè nei testi accadici ritrovati a Susa che sono tanti) erimtu/erientum [Scheil in MDP 2, 1900: 120; Malbran-Labat 1995: 223, nota 187]. Vedi tu se dobbiamo stupirci o meno.

Nelle iscrioni reali in medio-elamico (non in elamico achemenide dove abbiamo solo quel prestito mutilo dall'accadico agurru) abbiamo halat per l'accadico libittu (mattone crudo) e upat o erientum per l'accadico agurru (o megli a Susa erimtu come abbiamo visto; mattone cotto). E' l'elamico che copia erientum dall'accadico o viceversa? Non mi ricordo (dovrei guardare su CAD, AHw, Hinz/Koch 1987) ma credo che la forma sia etimologicamente accadica (quindi è l'elamico che copia, ma mi pare che non tutti siano d'accordo in quanto sarebbe più logico considerarla un prestito elamico nell'accadico di Susa) anche se attestata solo nei testi accadici di Susa. Per tutto il periodo pre-achemenide vedi assolutamente Malbran-Labat 1995: 152-154 e anche seguenti per forme e dimensioni. I termini elamici hanno diverse varianti e bisognerebbe guardarsele tutte sul dizionario Hinz/Koch 1987 che riporta anche il significato/traduzione a seconda di vari studiosi man mano che procedevano gli studi elamici.

In epoca achemenide è attestato in un solo caso (se non mi sbaglio) ha-la-at con significato però di 'tavolette d'argilla' nel famoso e contestato §70 di Bisotun (per cui ti rimanderei a Rossi 2000e alla sua bibliografia). Comunque è chiaro cha halat significa 'argilla' e per traslato 'mattone d'argilla crudo' (come risulta dall'opposizione a erientum) o 'tavoletta d'argilla'. Mi pare che nelle Persepolis Fortification Tablets non si parli mai di mattoni, ma dovrei controllare (Hallock 1969).

Per il periodo achemenide, io partirei da Harper et al. 1992: 223 che ha un po' di bibliografia, ma immagino che tu avrai di meglio.

Comunque forse può aiutarti la voce 'brique' compilata da padre M.-J. Steve nel Dictionnaire archéologique des techniques, Paris: Editions de l'Accueil, 1963-1964, voll. I-II. Purtroppo nella biblioteca qui è stato perso, ma dovrebbe avere (essendo Steve un filologo) una disamina sull'uso linguistico del termine mattone.

Infine ti segnalo se già non lo conosci Sauvage 1998, anche se non si occupa di Elam o Susa.

Intanto questo, in attesa di tue eventuali domande su punti non chiari o da approfondire. Scusa l'italiano approssimativo dettato dalla fretta.

In cambio mi farai avere una copia della tua bibliografia archeologica sui mattoni di Susa!

Ciao,
Gian Pietro

References

6 febbraio 2004

Carissimo Gian Pietro,
l'arcano è risolto... il buon Dario con il termine agurru intendeva indicare le numerose mattonelle smaltate che ornavano i suoi palazzi, ergo è doveroso assolverlo dall'accusa di non aver detto la verità...

Grazie ancora,
Guendalina

15 marzo 2004

Napoli, 15/mar/2004 16:10
# un libro #

Cara Guendalina,
una cosa che mi era venuta in mente e che poi mi sono dimenticato. Un libro che forse ti può essere utile (e che probabilmente conoscerai già) è:

Potts, Daniel T. (1999) The Archaeology of Elam. Formation and Transformation of an Ancient Iranian State, New York.

Ha un'ottima bibliografia. Ho un qualche vago ricordo che possa esserci lì in biblioteca a Ravenna, altrimenti posso procurartelo io.

Ciao e buon lavoro,
Gian Pietro

5 aprile 2004

Napoli, 5/apr/2004 23:45
# ancora agurru #

Cara Guendalina,
stamane sono capitato per caso in un sintetico riferimento al tuo agurru a pag. 52 di

Friedrich Wilhelm König, Der Burgbau zu Susa nach dem Bauberichte des Königs Dareios I., Leipzig 1930.

Leggi il tedesco?? Ad ogni modo puoi citarlo comunque in nota con un "vedi anche", giusto per far vedere che sapevi che ne parla anche König. Ricordati di non cambiare le maiuscole nel titolo e il punto dopo "I".

Ciao e buona Pasqua,
Gian Pietro

Allegati: pagina 49, pagine 50-51, pagina 52.

27 giugno 2004

Caro Gian Pietro,
ti disturbo ancora per chiederti alcune cose inerenti al nostro agurru...

Ti ringrazio moltissimo e spero di riuscire a farti avere una copia della mia bibliografia dei mattoni di Susa!
Guendalina

28 giugno 2004

Napoli, 28/giu/2004 17:37
# Re[2]: ancora agurru #

Cara Guendalina,
mi fa piacere sentirti perché ero curioso di sapere a che punto eri con il tuo lavoro. Quando mi hai scritto ero a Ravenna. Solo oggi ho potuto consultare il CAD.

Agurru è a pp. 160-163 del CAD, volume A, parte I, pubblicato nel 1964. Il significato 1 "kiln-fired brick" è a p. 160-163, il 2 "paving stone, tile, slab" a p. 163.

Per quel che riguarda erimtum/erientum, si tratta di due diverse grafie della stessa parola, riportata sempre al nominativo singolare. La seguente affermazione dovrebbe essere provata controllando tutti i testi: quei pochi che ho guardato però confermano che la prima forma è usata nei testi accadici (attenzione: testi in accadico, ma ritrovati a Susa!), la seconda in quelli elamici.

La forma erimtum (cioè senza -en-) è attestata in elamico solo in un paio di casi, precisamente come e-ri-im-ti (Hinz/Koch 1987: 400, sub voce): qui la -i finale è chiaramente la forma genitiva accadica presa e copiata pari pari (un calco in pratica) in un testo elamico (che di per sè non conosce una forma simile per esprimere il genitivo). Si tratta però di un'eccezione assolutamente minoritaria.

In elamico è attestata anche una forma aggettivale erientumya con significato "(fatto) di mattoni cotti".

Ho trovato altra bibliografia: P. Jensen in Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft 55 (1901), p. 234; Vincent Scheil in Revue d'Assyriologie et d'Archéologie Orientale 29 (1932), p. 70-71; Pietro Meriggi, ‘L'Elamico’, in Atti del Convegno sul tema: La Persia e il Mondo Greco-Romano (Roma 11-14 aprile 1965), pp. 559-567, Roma 1966.

Ciao e stammi bene,
Gian Pietro

9 luglio 2004

Cara Guendalina,
volevo dirti che secondo la professoressa di elamico Grazia Giovinazzo (che ti dà esplicitamente il permesso di citarla) nelle forme elamiche e-ri-en-tum4 e simili, il segno EN probabilmente deve essere letto come in. I sillabari elamici non danno questa possibilità, ma nel sillabario accadico effettivamente il segno EN può essere letto anche in4, quindi potrebbe essere così anche in elamico (il cui sillbario deriva pur sempre, anche se semplificando, da quello accadico) e, se lo dice Grazia, io mi fido!

[Sai che nella scrittura cuneiforme ogni segno può avere più letture (cioè poteva essere pronunciato in modi differenti) a seconda del contesto. Quindi il segno EN poteva venir letto en ma anche (più raramente) in. Noi moderni, per distinguere la lettura in sottesa da un segno EN da altre letture in (prima di tutto quella del segno IN), abbiamo aggiunto l'indice numerico (che andrebbe posto in pedice), in questo caso il 4 (da cui sappiamo che ci sono ALMENO altri tre segni diversi che potevano essere letti sempre in). Gli indici numerici e le letture sono codificate nei moderni sillabari come quelli di Labat o Borger.]

Tenendo conto dell'oscillazione fra le nasali m e n (comune in accadico, e che in ultima analisi può derivare dalla nostra ignoranza delle corrette letture dei segni in questione), in pratica sia le forme scritte erimtum (accadico attestato a Susa) che quelle erientum (elamico) erano probabilmente pronunciate in maniera identica, sicuramente senza l'inusuale dittongo ie, quindi -dice Grazia- erintum. Se così fosse, in elamico sarebbe meglio traslitterare e-ri-in4-tum4 o, finché questa lettura non viene codificata nei moderni sillabari elamici (l'unico esistente è Steve 1992), e-ri-ine-tum4. [Con la scrittura "in/e" intendo, se stessi scrivendo in Word, in con una e in pedice che indica una lettura ancora non standard propria dell'elamico (e per "elamico").]

Immagino che in questo momento ne avrai fino alla nausea di queste cose. Te l'ho scritto perché io poi avevo chiesto il parere della mia prof. e, dovesse venir fuori l'argomento, potrai arricchire la discussione con questa piccola "scoperta".

IN BOCCA AL LUPO,
Gian Pietro

La data del Natale

Lunedì 8 settembre 2003 11:43:50

Egr. G.P. Basello
Sono insegnante in questa scuola interessato alla storia dei calendari con le sue connessioni religiose.

Vorrei chiederLe se, gentilmente, mi vorrà dare un'informazione sommaria relativamente all'epoca in cui si incomonciò a festeggiare Natale il 25 dicembre in maniera abbastanza diffusa e chi operò attivamente per quello scopo.

Se vorrà con qualche indirizzo Web o indicandomi qualche articolo (facilmente reperibile) da poter consultare.

RingraziandoLa per l'attenzione Le invio cordiali saluti
Mauro P.

Napoli, 12 settembre 2003 23:15

Caro sig. Mauro,
nella depositio martyrum (un elenco di sepolture di martiri) presente nel calendario della città di Roma del 354 d.C. redatto da Filocalus, viene citata l'VIII calende di gennaio (cioè il 25 dicembre) come giorno della nascita di Gesù. Secondo L. Duchesne, per vari motivi, si può ritenere ragionevolmente che la depositio martyrum risalga però già al 335-336 d.C. Secondo H. Usener invece la data di introduzione è esattamente il 354, individuando in papa Liberio il suo fautore. Comunque sia, è la più antica testimonianza che abbiamo sul 25 dicembre come data di nascita di Gesù. Successivamente abbiamo un'omelia tenuta il 25 dicembre 386 da san Giovanni Crisostomo (nato ad Antiochia verso il 345) in cui viene spiegata perché questa data è quella giusta tramite un'esegesi delle sacra scrittura [1: 257, §406]. Precedentemente la nascita di Gesù era festeggiata il 6 gennaio, e il passaggio al 25 dicembre permise di scorporare la nascita lasciando al 6 l'epifania.

Nonostante le giustificazioni a posteriori del Crisostomo e di altri, la scelta del 25 dicembre si può spiegare con la coincidenza con il solstizio di inverno [1: 258, §407]. Lo stesso Crisostomo fa riferimento al Cristo come "sole di giustizia" (Malachia 4,2): il giorno in cui il sole riprendeva a risalire l'eclittica e i giorni ad allungarsi, fu ritenuto come il più adatto a celebrare la sua nascita. Inoltre la data corrispondeva con la festa pagana del "sole invitto" cioè non vinto, vittorioso, che veniva così rimpiazzata da quella cristiana.

In realtà oggi possiamo calcolare con precisione la data del solstizio fissandola al 20 dicembre del calendario giuliano nel 350 d.C. Tuttavia sappiamo da un autore contemporaneo, Epifanius (315-403) che il 25 dicembre era comunemente riconosciuto come data del solstizio di inverno. Probabilmente si era perpetuata nella tradizione la data corretta per qualche secolo prima, senza contare che attorno al solstizio il sole rallenta il suo cammino e quindi non è facile determinare con precisione il giorno preciso.

Ci sarebbero tante altre cose da rilevare ma mi fermo qua. Vorrei sottolineare però che nei primi secoli dopo Cristo era molto sentito il problema di fissare la data della nascita del messia. Vennero stilati perfino "oroscopi" del suo giorno natale. Ad esempio, per alcuni doveva essere sempre di mercoledì perché di mercoledì fu creato il sole secondo Genesi 1.

Mi scusi per la fretta, l'approssimazione e il ritardo nel risponderle. Purtroppo in questi giorni non ho liberamente accesso ad internet quindi non ho potuto cercare qualche pagina dedicata all'argomento, ma ce ne saranno sicuramente. Provi a fare una ricerca in google con "natale duchesne", dovrebbe dare dei risultati abbastanza mirati direttamente in italiano.

Come vede non sono molto aggiornato bibliograficamente, ma questo è quello che ho a portata di mano. Non dovrebbe aver problemi a recuperare la voce della Treccani. L'articolo più esauriente è il [2], se non ha problemi con l'inglese potrei inviarglielo via fax (sono 8 facciate).

Spero di esserle stato di aiuto, cari saluti e buon anno scolastico,
Gian Pietro

Avvicinarsi all'ebraico biblico

Wednesday, 2003, August 27
1:24:17 AM

Salve, mi chiamo Davide C., sono uno studente del liceo classico, nonchè appassionato di lettura e lingue, ho diciassette anni e vorrei intraprendere lo studio dell'ebraico moderno e biblico in maniera precisa e sistematica.

Volevo pertanto sapere se sono disponibili sul mercato, che lei sappia, dei corsi di ebraico moderno e biblico con cassetta, e magari se necessario anche con base inglese. Da parte mia ho cercato parecchio, il meglio che sono riuscito a scovare è una grammatica di un certo Donat Mittlar (se non erro), ma questa non possiede una sezione audio che possa permettere una buona conoscenza della fonetica , pertanto non l' ho acquistata. Vede, ho dei grossi problemi nel comprendere quali siano effettivamente i suoni di lettere come "alef" od " 'ayin" o dello "sheva mobile" (che non si pronuncia ma ha comunque il suono di una leggera "e"), in quanto la grammatica sembra essere piuttosto imprecisa ed evasiva. Se fosse in grado di darmi i titoli di eventuali grammatiche con cassetta, le sarei davvero riconoscente! Grazie!

Napoli, 29/ago/2003 16:19

Caro Davide,
mi permetto di darti del tu e ti invito a fare altrettanto. Innanzitutto grazie della gentile lettera.

Ti confesso che sono assolutamente impreparato per quel che riguarda l'ebraico moderno. Si tratta di una lingua "artificiale" (in realtà nel momento stesso in cui iniziò ad essere parlata, si avviò un processo di evoluzione "naturale" -cioè determinata dall'insieme dei parlanti- che la sottrasse in parte al controllo di qualsivoglia pianificazione a tavolino), non in senso spregiativo, ma nel senso che fu fortemente voluta dagli intellettuali (generalmente si ricorda la figura di Eliezer Ben-Yehuda e come data il 1879) per dotare di una propria lingua "nazionale" gli ebrei che accoglievano la sfida di tornare in Palestina. Non era solo una questione ideologica o politica, ma anche pratica visto che, provenendo da svariati paesi, c'era bisogno di una lingua comune. Come base si prese l'ebraico biblico, ma anche l'influsso dell'ebraico rabbinico (diciamo grosso modo II-VIII sec. d.C.) si fece sentire. La fonetica e la morfologia furono semplificate, come pure si dovettero creare un'infinità di nuove parole, che risentono soprattutto dell'influsso dell'inglese più che di altre lingue semitiche come l'arabo, per motivi che puoi facilmente immaginare. Tutto questo per dire che fra ebraico moderno ed ebraico biblico c'è una bella differenza, e un parlante di ebraico moderno non capisce l'ebraico biblico più di quanto un italiano medio capisce il latino.

Su questi argomenti e per una panoramica sulle lingue semitiche (ovvero della stessa famiglia linguistica dell'ebraico come l'arabo) ti consiglio

Giovanni Garbini & Olivier Durand, Introduzione alle lingue semitiche, Brescia: Paideia, 1994.

che è un testo rigoroso ma non troppo impegnativo.

Per quel che riguarda l'ebraico biblico, in italiano la grammatica più diffusa è

Giovanni Deiana & Ambrogio Spreafico, Guida allo studio dell'ebraico biblico, Roma: ed. Società Biblica Britannica e Forestiera, 1990.

Ti consiglierei l'edizione con la chiave degli esercizi e la cassetta con le letture, anche se la pronuncia non è perfetta e non distingue bene i suoni delle cosidette "gutturali" e quindi imparerai subito che la pronuncia di una lingua morta è qualcosa di estremamente relativo (il ché non toglie che sia importantissimo abituarsi a leggere e parlare anche le lingue morte!). Personalmente non mi piace tantissimo: è un po' troppo schematica e uno non deve porsi troppe domande quando incontra forme non spiegate nel testo. Ci sono anche alcuni brani biblici (genesi 1, qualche salmo, il libro di Rut, etc.) e un glossarietto.

In italiano c'è anche (oltre ad altre grammatiche non più stampate)

Hans Peter Stahli (v. I), Bruno Chiesa (v. II), Corso di ebraico biblico, Brescia: Paideia, 1986.

Li dovresti trovare facilmente in una qualche libreria cattolica, ad es. Paoline, Dehoniane etc. che di solito si trovano nelle grandi città.

Se te la cavi con l'inglese ti consiglio

Simon Resnikoff & Motzkin, The First Hebrew Primer, $34.95, EKS Publishing Co. [eks@wenet.net, www.ekspublishing.com] + cassetta

In inglese un'altra ottima grammatica è il Lambdin, sempre a lezioni progressive ma se arrivi alla fine avrai una preparazione di altissimo livello.

Per quel che riguarda le grammatiche di riferimento (Jouon, Muraoka), le edizioni della Bibbia ebraica (http://digilander.iol.it/elam/corrispondenza_utf.htm#leningrado) e i dizionari... tornami a scrivere!

L'ebraico biblico non è una lingua difficile. Forse non arriverai a capire perché quella forma verbale ha una certa vocale e non un'altra (cosa che peraltro non sanno neppure i professoroni), comunque riuscirai presto a comprendere una buona parte dei testi biblici (ad es. i salmi che sono poetici sono in genere più difficili). L'unico scoglio è quello di imparare a leggere la scrittura ebraica. Per superarlo devi solo esercitarti... un quarto d'ora al giorno per una settimana ed è fatta. Impara a leggere bene, il più speditamente possibile e magari a voce alta fin dall'inizio. Il ricordo mnemonico del suono delle parole (anche per via del discorso del triconsonantismo) ti aiuterà tantissimo, tanto più che non sono tantissimi i vocaboli usualmente impiegati (circa 300).

Spero di esserti stato di aiuto; se non sono stato chiaro fammi sapere. Cari saluti,
Gian Pietro Basello

7 febbraio 2004

Ciao Gian Pietro,
sono capitato sul tuo sito per caso, cercando su Google qualcosa per calcolare date del calendario ebraico in VB, e poi mi sono messo a leggere il resto ed è stata una bella sorpresa.

Scusa però la pignoleria se mi permetto di correggerti su una cosa, di cui tu comunque dici che non rientra nel tuo campo: l'ebraico moderno non risente assolutamente di influenze lessicali dall'inglese (o meglio: non più dell'italiano), come hai scritto nella risposta al ragazzo che voleva studiare ebraico. Le influenze indoeuropee ci sono sì, e sono massicce, ma provengono dal russo e dallo yiddish/tedesco; e non potrebbe essere altrimenti, vista la storia delle immigrazioni in Israele negli ultimi 100 anni. Del resto basta sentire שרון שמדבר בטלוויזיה על "קואליציה של הטרור" ... oppure vedere i nomi dei 12 mesi gregoriani (sono tutti in tedesco!). A proposito: al ragazzo, se vuole studiare da solo, consiglia il corso L'hébreu sans peine della Assimil (su base francese) che può comprare da www.assimil-italia.it (ammesso che non abbia rinunciato dopo aver avuto come primo impatto il Garbini-Durand...)

Ciao,
Raffaele

Soluzioni per l'inserimento di caratteri diacritici

Si veda anche la pagina UNICODE e XML.

Napoli, 11/mag/2003 19:05
# Re: euroiranica #

Chiedo scusa se mi sono dilungato. Ad ogni modo direi che le cose essenziali sono nei paragrafi "PRIMA SOLUZIONE" e "STRUMENTI PER L'INSERIMENTO DEI CARATTERI". Il resto l'ho messo per dare una panoramica completa, ma rimango a disposizione per qualsiasi problema o chiarimento e per venire personalmente all'IsIAO a fine giugno, se non è troppo tardi, in modo che non dobbiate perdere tempo voi con gli aspetti tecnici.

Cordiali saluti a lei e al presidente,
Gian Pietro Basello


Come accennavo per telefono, ci sono due possibili soluzioni.

PRIMA SOLUZIONE

La prima è di installare un font che abbia tutti i caratteri diacritici che possono servirvi. In ambito iranistico è comunemente usato il font "Euroiranica". In alternativa c'è anche il font "Iranweb" (usato dall'Encyclopaedia Iranica) che sconsiglierei non perché sia peggiore di Euroiranica ma solo perché, che io sappia, fra gli studiosi italiani si usa in genere Euroiranica.

In allegato troverà il font Euroiranica nelle sue versioni (normale, italico, grassetto, italico + grassetto).

Vediamo come precedere per installare il font Euroiranica. Prima di tutto bisogna salvare gli allegati in qualche cartella, ad esempio in "c:" o "documenti" o dove preferite.

Poi bisogna lanciare il "pannello di controllo" (da "avvio/start" | "impostazioni") e selezionare l'icona "tipi di carattere". Nella finestra che si aprirà, selezionare dal menù "file" la voce "installa nuovo tipo di carattere", quindi cercare la cartella in cui erano stati salvati precedentemente i fonts e selezionare con un doppio click uno dei font. Tale operazione andrà ripetuta per ognuno dei quattro files che compongono il font.

Per usare il font, basta aprire il Word e selezionare il font nell'apposita lista di caratteri. Ogni volta che serve un qualche carattere diacritico, bisognerà selezionare la voce "simbolo..." nel menù "inserisci", cercarlo nella tabella (sperando che ci sia!!!) e inserirlo nel testo con un doppio click.

Prof. A. Panaino scrive generalmente tutti i suoi articoli usando sempre l'Euroiranica, cambiando font solo quando deve citare testi in greco per cui è necessario un altro font. Eventualmente in una prossima e-lettera vi allego qualche font greco.

LIMITI della PRIMA SOLUZIONE

Quali sono i limiti di questa prima possibilità? 1. Se vi serve un diacritico particolare non presente in Euroiranica dovrete cercare un qualche altro font che lo contiene; 2. un documento con diacritici scritti usando Euroiranica può essere stampato e visualizzato correttamente solo da computer che hanno installato il font Euroiranica (anche avendo un altro font con quei diacritici, lo stesso diacritico sarà molto probabilmente disposto in una posizione diversa della tabella caratteri, per cui non c'è corrispondenza fra i due fonts).

SECONDA SOLUZIONE

Per ovviare a questi inconvenienti, è stato sviluppato lo standard internazionale UNICODE, che rappresenta la seconda soluzione.

DIGRESSIONE TECNICA SULLA SECONDA SOLUZIONE

Al contrario delle vecchie tabelle di codifica limitate a 256 caratteri (per cui, ad esempio, o si scriveva in cirillico o in caratteri latini e c'era bisogno di un font per il cirillico e uno per scrivere in greco), UNICODE prevede 65536 caratteri (256 x 256) suddivisi in sottoinsiemi (subset) corrispondenti alle singole scritture (fra cui alfabeto fonetico, segni diacritici per tutti i gusti, arabo, greco, ebraico, siriaco, armeno, hindi, cinese etc.). In questo modo bisogna sempre avere a disposizione un font che contiene il sottoinsieme utilizzato (il comune Times New Roman per Windows contiene già diversi sottoinsiemi; esistono anche font quasi completi come l'Arial Unicode MS nel pacchetto Office), però non c'è più rischio di "scambiare" i caratteri e non bisogna per forza possedere un determinato font (prima uno poteva avere anche tre font per il greco, ma non era detto che si potesse passare dall'uno all'altro senza dover ribattere il testo). MS Word (dalla versione 97 in su) supporta pienamente UNICODE e le scritture da destra a sinistra.

ESERCITAZIONE CON UNICODE

Per prendere confidenza con UNICODE, basta lanciare l'applicazione Microsoft Word, selezionare il carattere "Times New Roman" e selezionare la voce "Simbolo..." nel solito menù "Inserisci". In alto a destra c'è una casella contenente l'elenco dei sottoinsiemi UNICODE contenuti nel font. Selezionandone qualcuno possiamo renderci conto dei caratteri che contiene. Vediamo ad esempio che ci sono i sottoinsiemi per scrivere in cirillico o ebraico. Per un iranista, i sottoinsiemi più utili saranno "Latino esteso A" e "B" e "Latino esteso aggiuntivo" (si notino ad es. le vocali lunghe all'inizio del "Latino esteso A").

UNICODE FONTS

Probabilmente però "Times New Roman" non è grado di soddisfare tutte le vostre esigenze. Bisogna quindi ricorrere ad un font UNICODE più ricco. Può darsi, essendo parte del pacchetto Microsoft Office, che abbiate già installato il font "Arial Unicode MS" e in tal caso lo potrete selezionare dalla lista dei caratteri. L'unico inconveniente che è un font tipo Helvetica/Arial, mentre generalmente si preferisce scrivere con un font tipo Times. Consiglierei quindi l'uso del font "TITUS Cyberbit Basic" sviluppato dal Thesaurus Indogermanischer Text- und Sprachmaterialien (TITUS). E' bene ricordare però che, essendo ambedue in standard UNICODE, una volta battuto un testo con "Arial Unicode MS" si può passare tranquillamente al "TITUS Cyberbit Basic" e viceversa senza paura che "saltino" dei caratteri.

Il font "TITUS Cyberbit Basic" può essere scaricato gratuitamente (viene richiesta solo una semplice registrazione con nome e indirizzo di posta elettronica) al seguente indirizzo:

http://titus.uni-frankfurt.de/unicode/unitest2.htm
selezionando "Unicode Tools" quindi "TITUS Cyberbit UNICODE font download".

La procedura di installazione è simile a quella dell'Euroiranica. Quando si apre la finestra di "installa nuovo tipo di carattere" bisognerà ovviamente ricercarlo nella cartella in cui l'avrete salvato all'inizio del processo di scaricamento.

Come vedrete, questo font è estremamente completo e contiene una stupefacente quantità di diacritici, molti dei quali non ho neppure idea per quali lingue possano servire!!!

LIMITI DELLA SECONDA SOLUZIONE

Quali sono i limiti di questa seconda possibilità? Limiti nessuno, c'è solo un'inconveniente pratico: che essendo una tecnologia in via di diffusione, nessuno ha ancora sviluppato le versioni italiche e grassetto dei suddetti font UNICODE. Questo è ovviamente un grosso inconveniente in ambito editoriale. Ciononostante, tutto il volume III della serie Melammu Symposia è stato impaginato utilizzando un unico font UNICODE, il "TITUS Cyberbit Basic", di cui ho preparato io stesso una versione italica, ma solo limitatamente ai caratteri diacritici di cui avevo effettivamente bisogno (per far prima!).

DIGRESSIONE SULLA NECESSITA' DI UNO STANDARD

Un'ultima postilla: da quel che sento, anche in ambito accademico internazionale, l'uso di UNICODE si sta affermando sempre più. Purtroppo però nessuno ha pensato di creare un gruppo di lavoro che prepari una serie di fonts UNICODE completi compatibili con gli standard editoriali. Per "serie" intendo almeno un font tipo Times e uno tipo Helvetica/Arial; per "completo" intendo sia nella versione normale che italica e grassetto; per "compatibile con gli standard editoriali" intendo ben disegnati e ad alta risoluzione.* Creare un font di per sè non è infatti un'operazione particolarmente difficile; ciononostante ad un'occhio tipograficamente attento non sfuggirebbe che la mia versione italica del "TITUS Cyberbit Basic" è fatta "in casa" (in base a minime sfasature nell'allineamento e la spaziatura del segno diacritico rispetto al carattere etc.). D'altronde da un punto di vista informatico, credo che nel nostro campo di studi sia fondamentale procedere quanto prima ad una standardizzazione in questi tre campi: uso dei fonts, convenzioni di traslitterazione di testi antichi, modalità delle citazioni bibliografiche. Se un gruppo di lavoro internazionale risolvesse questi nodi mettendo a punto degli strumenti comuni (UNICODE, layout comuni di tastiere virtuali -vedi sotto-, standard per scambio dati bibliografici come per le grandi banche dati bibliografiche in campo medico, etc.) potremmo lavorare tutti con più facilità senza preoccuparci di font e quant'altro!

* Nota postuma: si veda il progetto per lo sviluppo del font Gentium del Sumner Institute of Linguistics (SIL).

STRUMENTI PER L'INSERIMENTO DEI CARATTERI

Quale che sia la soluzione che adotterete (e premesso che in questo momento probabilmente la prima è la più logica), sono disponibili dei programmi che intercettano (hook) certe prestabilite sequenze di tasti premuti sulla tastiera associandovi caratteri non accessibili direttamente da tastiera. In questo modo non bisogna ricorrere in continuazione ad "Inserisci" | "Simbolo" di Word. Tramite questi programmi (che si sovrappongono a qualsiasi applicazione di word processing) è possibile, ad esempio, scrivere rapidamente in greco con tanto di spiriti e accenti, e passare poi all'ebraico e quindi di nuovo ai caratteri latini, grazie ad appositi layout (disposizioni dei tasti) virtuali di tastiera.

Tanto per intenderci, digitando una "a" seguita da "=" compare subito una "a" lunga e così per le altre vocali; l'asterisco invece aggiunge il punto sotto una consonante; il segno "|" aggiunge la dieresi e così via.

Il risultato finale sarà identico rispetto all'uso di "Inserisci" | "Simbolo...". Questi programmi servono dunque solo per facilitare l'inserimento dei caratteri, ovvero nella fase di input, senza modificare minimamente la fase di visualizzazione.

Troverete un elenco di questi programmi all'indirizzo

www.elamit.net/elam/links.htm#languages

Comunque i più diffusi sono:

Ovviamente questi programmi sono configurati per scrivere in UNICODE o con i più diffusi font greci o ebraci non UNICODE. Per utilizzarli con Euroiranica bisogna fornirgli precedentemente le corrette assegnazioni. Comunque a questo potrei pensarci io, ed eventualmente vi darò istruzioni più dettagliate. Ad ogni modo, una volta eseguita l'installazione e scelta la tastiera virtuale, scrivere con i diacritici diventa un'operazione estremamente semplice.

COLLEGAMENTI UTILI

Già che ci sono, se può interessarvi, nella seguente pagina internet troverete una panoramica delle principali iniziative per la codifica digitale di testi antichi:

www.elamit.net/elam/encoding.htm

FONTS UNICODE e NON per il GRECO ANTICO

Iniziative per la codifica digitale di testi antichi

Innanzitutto ci sono due pagine di collegamenti commentati molto utili:

Di seguito ti replico alcuni dei collegamenti che troverai anche nelle succitate pagine. Da un punto di vista di implementazione tecnica, la maggior parte di questi progetti si basa sul relativamente recente standard XML (eXtensible Markup Language; vedi il World Wide Web Consortium per le specifiche). Fino a qualche tempo fa si creavano invece delle grandi basi di dati (database) nel formato specifico dei principali software in commercio (ad es. Oracle, FileMaker, MS Access). XML invece è uno standard non proprietario, che chiunque con un po' di conoscenze informatiche può adattare ai propri scopi, creando schemi (DTD) su misura per immagazzinare i dati che vuole registrare. XML inoltre separa nettamente i dati dalle loro possibili rappresentazioni. Per "rappresentazioni" intendo per esempio la visualizzazione di un certo gruppo di dati, i risultati di una ricerca, un grafico, etc. La possibilità di sviluppare indipendentemente il modello con cui si registrano i dati e le modalità con cui sceglierli, visualizzarli o stamparli è uno dei punti di forza di XML. Tuttavia comporta anche un notevole svantaggio: che molti progetti sviluppano dettagliatissimi schemi senza però fornire strumenti che aiutino l'inserimento dati o che mostrino efficacemente i dati inseriti (anche in questo caso però uno potrebbe svilupparseli a parte su misura).

I seguenti progetti sono specifici per le scritture cuneiformi. Ci sono due tipi di approcci che in realtà sono complementari: la replica virtuale della superficie tridimensionale di un'iscrizione e la codifica (intesa come traslitterazione) del testo.

Ci sono anche alcuni articoli indipendenti da specifici progetti:

Qumran, Gesù e il Vaticano

Lunedì 3 febbraio 2003, 2:18:38 PM

Ciao Gian Pietro.
Ho ricevuto dalla Mailing list di atei che frequento questa mail sulla (presunta) falsificazione del Vaticano dei manoscritti di Qumran. Ne sai niente? Ti riporto la mail.

Ciao M.

Ciao ...
La storia dei manoscritti di Quumran è più o meno questa: nel 1947 un pastorello nomade palestinese cercando una pecora smarrita (è tutto vero) trovò una grotta con delle giare contenenti preziosi manoscritti... Rivendette il tutto a un trafficante di opere d'arte...Il manoscritto capitò per caso nelle mani di un traduttore e di alcuni suoi amici domenicani... Con loro grande gioia nel manoscritto trovarono parti del Vangelo di Marco (e probabilmente pensarono:"Gli ateacci ora avranno un bel dire che Gesù non è mai esistito!! Questo è il documento più antico che parli di nostro signore)... Le gioie per loro finirono lì... Cominciarono i dolori... I manoscritti più comprensibili parlavano di una setta enochea organizzata da un Maestro di Giustizia e da una specie di tavola rotonda di 12 persone... Con precise regole religiose (una pseudoeucaristia, una specie di battesimo) e alcune regole di guerra.... Questa comunità era fortemente avversa al dominio romano e in collegamento con un'altra setta detta degli Zeloti (veri e propri sicari integralisti)... I manoscritti parlano anke di un maestro empio (che qualcuno raffigura come Saulo di Tarso) che avversò il maestro di giustizia e probabilmente ne uccise il fratello di sangue che qualcuno raffigura come Giacomo il Giusto (saprete benissimo che non ci sono prove certe dell'esistenza di Gesù il nazareno ma se facciamo riferimento ai vangeli (quello di Marco è il meno interpolato) aveva 6 o 7 fratelli (cfr Marco 6,3))....

Questi sono i risultati di studi non di parte di uno storico di nome Eizmann... Volete sapere la versione cattolica della cosa?

La mia storia non ha certo pretese di completezza se volete approfondire dovete far riferimento a testi specialistici... Per cominciare vi consiglio i Manoscritti di Quumran di Baigent e Leigh... O l'Inquisizione (una bella storia della chiesa) sempre di Baigent e Leigh.... Un consiglio che vi do è il seguente cercate di mantenervi il più possibile equidistanti (certo che quando si ha a che fare colla chiesa cattolica non è facile)...

Per riferimenti dal Web ho reperito: http://www.nostraterra.it/qumran/files/7q5.htm

Non smettete mai di farvi delle domande (non solo sulla storia della chiesa).

Un saluto Andrea

Napoli, 3 febbraio 2003 14:33

Caro M.,
ti butto giù alcune considerazioni alla buona, senza pretesa di aver ragione. Scusa se come sempre mi sono dilungato. Fammi sapere se ti è servito o sono cose che sapevi già.

Il resoconto della "mailing-list di atei" è un'ottima sintesi della questione Qumran secondo l'esclusivo punto di vista del citato libro di M. Baigent e R. Leigh [1].

Secondo [2, p. 177] le somiglianze fra Nuovo Testamento e testi di Qumran si possono individuare:

Da queste somiglianze "il sottofondo giudaico del nuovo testamento risulta più chiaro e più comprensibile, ma il suo significato non è cambiato". In pratica i testi di Qumran confermano "solo" che il cristianesimo è nato dal giudaismo in Israele!

Inoltre è bene precisare che a Qumran il nome di Gesù non è mai citato espressamente, e di testi ne sono stati trovati parecchi (circa 800)! Qualcuno però sostiene che molti testi facciano riferimento a Gesù in maniera cifrata. B.E. Thiering [3] arriva a riscrivere tutta la vita di Gesù: fu crocifisso a Qumran assieme a Simon Mago [Atti 8,9ss] e a Giuda Iscariota, ma non era morto bensì reso inconscio dal veleno di un serpente; dopo essere così "risorto" si sposò due volte, la prima con Maria Maddalena. Nel 1991 R. Eisenman annunciò che aveva trovato traccia di un messia crocifisso nel frammento 4Q285 (ovvero grotta 4 di Qumran, frammento 285). Io stesso comprai impazientemente la traduzione italiana del libro di Eisenman e Wise [4] (pubblicata da PIEMME) e traducendo il testo che egli stesso riportava in lingua originale mi accorsi subito che c'era qualcosa che non andava: non essendo vocalizzato, il verbo poteva essere una terza persona sia singolare che plurale; Eisenman ipotizzò un plurale e mise come oggetto "il principe della comunità", un titolo del messia quindi "ed essi hanno ucciso [o uccideranno] il principe della comunità". Però tutto il passo sembra essere una parafrasi a Isaia 11,1ss (il germoglio di Jesse) e risulta molto più logico intendere che "il principe della comunità ucciderà" qualcuno il cui nome è nella lacuna che purtroppo segue subito dopo, in sintonia con l'empio ucciso dal germoglio di Jesse in Isaia 11,4. Inoltre nei testi di Qumran il messia è trionfante, al contrario del messia sofferente dei vangeli (come vedi non mancano neppure radicali differenze!).

E' stato invece proprio il libro di M. Baigent e R. Leigh [1] a tirar fuori la storia del complotto del Vaticano. Ma torniamo un po' indietro nel tempo. La prima commissione internazionale designata da padre Roland de Vaux su commissione dello stato giordano era composta da 3 cattolici, 2 presbiterani (di cui uno divenne poi cattolico), 1 luterano e 1 agnostico. L'agnostico era proprio J.M. Allegro che dopo un primo periodo di serio lavoro sui manoscritti redasse "Il fungo sacro e la croce" [5] in cui sosteneva che la vita di Gesù era stata completamente inventata sotto l'azione di un fungo allucigeno. Questo libro fu rigettato dal suo stesso editore come pure da tutto il mondo accademico e scientifico e testimonia tristemente la profonda malattia psichica contro cui dovette combattere il suo autore.

Dopo una prima fase di entusiasmo e alla pubblicazione dei testi meglio conservati, il lavoro della commissione iniziò a rallentare e ad arenarsi di fronte alla miriade di frammenti da ricongiungere e interpretare. Ci fu poi il trauma della guerra dei 6 giorni (1967), in seguito alla quale i testi e il museo in cui erano conservati passarano dalla Giordania ad Israele: i testi ereditarono le vicissitudini della terra in cui erano stati trovati! La commissione internazionale venne finalmente ampliata a 40 membri ma la pubblicazione procedeva con inevitabile lentezza. Partirono vere e proprie crociate, gli studiosi si "soffiarono" a vicenda il diritto di pubblicare i testi, molti furono pubblicati senza autorizzazione, scattarono perfino processi. Insomma, ci fu una gran confusione ma non per colpa del Vaticano, bensì perché facevano gola a tutto il mondo accademico.

Ad ogni modo oggi la maggior parte dei testi è stata pubblicata (c'è anche un'edizione su CDrom) mentre sono accessibili tutti tramite foto [11], e chiunque può metterci mano e rendersene conto.

La tesi di Baigent e Leigh [1] (che sono due giornalisti autori di altri libri sensazionalistici di argomenti disparati, ad es. [15]) è stata autorevolmente smentita da più parti e non ha trovato alcun seguito nella comunità accademica e scientifica. Se poi il Vaticano è riuscito a mettere a tacere tutta la comunità scientifica, non so. Del resto se anche gli argomenti riportati fossero veri (e in parte infatti abbiamo visto lo sono) non vedo come potrebbero inficiare il vangelo e tantomeno (perdonami il tantomeno) la gerarchia ecclesiastica.

Infine alcune ulteriori annotazioni su punti specifici:

L'unica cosa che posso consigliare, dopo la lettura di Baigent e Leigh, è quella dell'altra campana, ad esempio, fra i tanti, [2] (specialmente i capitoli 6 e 7) o [8].

Cari saluti,
Gian Pietro

Nota bibliografica
  1. *M. Baigent / R. Leigh, The Dead Sea Scrolls Deception, New York: Summit, 1991 [mi pare ci sia anche un'edizione italiana].
  2. James C. Vanderkam, Manoscritti del Mar Morto. Il dibattito recente oltre le polemiche, Roma: Città nuova, 1995 [ed. originale inglese del 1994 credo].
  3. *Barbara E. Thiering, Jesus and the Riddle of the Dead Sea Scrolls, San Francisco: Harper, 1992.
  4. Robert H. Eisenman / Michael Wise, Manoscritti segreti di Qumran. Tradotti e interpretati i Rotoli del Mar Morto finora tenuti segreti. I 50 documenti chiave che fanno discutere l'esegesi biblica mondiale, Casale Monferrato: Piemme, 1994 (II edizione), 290 pp., L.38'000 [edizione italiana a cura di Elio Jucci; edizione originale: The Dead Sea Scrolls Uncovered, Shaftesbury, Dorset, UK: Element Book Ltd., 1992].
  5. *John M. Allegro, The Sacred Mushroom and the Cross, Garden City, N.Y.: Doubleday, 1970.
  6. *J. O'Callaghan, 'Papiro neotestamentarios en la cueva 7 de Qumran?', Biblica 53 (1072), pp. 91-100.
  7. Robert E. Van Voorst, Jesus Outside the New Testament. An Introduction to the Ancient Evidence, Gran Rapids, Michigan / Cambridge, U.K., 2000.
  8. Joseph A. Fitzmyer, Qumran: le domande e le risposte essenziali sui Manoscritti del Mar Morto (GDT 230), Brescia: Queriniana, 1995 (II edizione), 288 pp., L.33'000 [titolo originale: Responses to 101 Questions on the Dea Sea Scrolls, New York: Paulist Press].
  9. Otto Betz / Rainer Riesner, Gesù, Qumran e il Vaticano. Chiarimenti, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1994 (V edizione), 269 pp., L. 30'000 [titolo originale: Jesus, Qumran und der Vatikan. Klarstellungen, Brunnen Verlag, 1993].
  10. Alexander Schick, Il fascino di Qumran Giallo scientifico, dispute fra ricercatori e autentico significato dei rotoli del Mar Morto, Città del Vaticano: Libreria Editrice vaticana, 159 pp. [molto didattico con tante foto, anche degli studiosi coinvolti, può esserti utile a scuola].
  11. *Israele Antiquities Authority, The Dead Sea Scrolls on Microfiche: A Comprehensive Facsimile Edition of the Texts from Judaean Desert, Leiden: Brill, 1993.
  12. *Martin Abegg Jr. / Peter Flint / Eugene Ulrich, The Dead Sea Scrolls Bible, Edinburgh, 1999.
  13. Carsten Peter Thiede, Qumran e i Vangeli. I manoscritti derlla grotta 7 e la nascita del Nuovo Testamento, Milano: Massimo, 1996, 127 pp., L.30'000 [titolo originale: The earliest Gospel manuscript? The Qumran fragment 7Q5 and its significance for New Testament studies, Carlisle: The Paternoster Press, 1992.

Aggiunta postuma (18.24/II/2003)

  1. Stefano Alberto (ed.), Vangelo e storicità. Un dibattito, Milano: Rizzoli, 1995 [raccolta di articoli e interviste apparse su giornali e riviste].
  2. *M. Baigent / R. Leigh, Der heilige Gral und seine Erben. Ursprung und Gegenwart eines geheimen Ordens. Sein Wissen und seine Macht, 1984 [edizione originale uscita nel 1982].
  3. James H. Charlesworth (ed.), Gesù e la Comunità di Qumran, Casale Monferrato: Piemme, 1997, 382 pp., L.48'000 [edizione italiana a cura di Teresa Franzosi. Titolo originale: Jesus and the Dead Sea Scrolls].
  4. Flavio Dalla Vecchia (ed.), Ridatare i Vangeli? (gdt 247), Brescia: Queriniana, 1997, 218 pp., L.28'000 [con contributi di Josè O'Callaghan / Carsten Peter Thiede / Maurice Baillet / Camille Focanat / Hans Udo Rosenbaum / Emile Puech / Marie Emile Boismard / Pierre Grelot. Postfazione di Giuseppe Segalla. Alle pagine 11-23 riporta l'articolo [6] di O'Callaghan in italiano].
  5. Hans-Joachim Schulz, L'origine apostolica dei Vangeli, Milano: Gribaudi, 1996 [con presentazione di Rudolf Schnackenburg e postfazione di Carsten Peter Thiede. Edizione originale: Die apostolische Herkunft der Evangelien, Freiburg im Breisgan: Herder].
  6. Giuseppe Segalla, La datazione dei Vangeli: novità e conferme, dispensa della conferenza tenuta il 12/XI/1996 allo S.T.A.B. di Bologna.
  7. Hershel Shanks, Understanding the Dead Sea Scrolls. A Reader from the Biblical Archaeology Review, New York, 1993.
  8. Graham Stanton, La verità del Vangelo. Dalle recenti scoperte nuova luce su Gesù e i vangeli, Cinisello Balsamo: san Paolo, 1998.
  9. Hartmut Stegemann, Gli Esseni, Qumran, Giovanni Battista e Gesù. Una monografia, Bologna, 1996 [edizione originale: Die Essener, Qumran, Johannes der Täufer und Jesus. Ein Sachbuch, Freiburg im Breisgau: Herder, 1993].
  10. Carsten Peter Thiede, Il papiro Magdalen. La comunità di Qumran e le origini del Vangelo, Casale Monferrato: Piemme, 1997, 236 pp. L.40'000 [revisione scientifica di Marco Gambarino; il II capitolo è tratto dall rivista Il nuovo Areopago, 3/13 (1994): 32-50. Edizione originale: Rekindling the Word: In Search of Gospel Truth, Leominster, Herefordshire (England): Gracewing, 1995].
  11. Carsten Peter Thiede / Matthew D'Ancona, Testimone oculare di Gesù. La nuova sconvolgente prova sull'origine del Vangelo, Casale Monferrato: Piemme, 1996 [edizione originale: Eyewitness to Jesus, 1996].

Divinità del "Verbo" / Dio tentatore?

8 gennaio 2003

Ciao Gian Pietro, buon anno.

Ho due quesiti che potrebbero essere tematiche da approfondire per Orarel.com grazie ad un'analisi testuale. Se riesci a scrivere alcune note illustrative te ne sarei grato.


1) La prima è un dubbio che mi ha fatto venire la traduzione dei Testimoni di Geova del primo paragrafo dell'inno di Giovanni. Loro traducono:

In principio era il Verbo
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era un dio.

Cosa dice il testo originale e come interpretarlo? Basta una piccola variazione e il senso cambia completamente.


2) La seconda cosa è tratta dal NG di it.cultura.religioni titolato "Cristo conosceva davvero il Padre!!!".

Cristo conosceva davvero il Padre, lo conosceva come vendicativo e "Tentatore", ovvero "Satan", dal momento che le due parole al tempo di Cristo avevano lo stesso significato. Ce ne da' prova inequivocabile nell'unica preghiera che insegna ai fedeli, ovvero il Padre Nostro. Mt 6/13...............Kai me' eisenenken emas eis peirasmon, ovvero ...e non c'indurre in tentazione.........peraltro traduzione ammorbidita, in quanto il verbo eisenenken e' il cong aor attivo del verbo "Eisfero", che significa " portare dentro" composto da Eis + fero ( es. Luci-fero) significato che va ben oltre al " indurre in tentazione" . Quindi "non portarci dentro alla prova"...). Cio' significa che Cristo e' altra cosa da Dio, (cioe' non Consustanziale) dal momento che ci e' stato presentato come Amore, incapacita' di "portare al male", quindi due Entita' soprattutto moralmente distinte, cioe' due "Divinita' " antitetiche.
Rimane un'altra considerazione spicciola, terra / terra. Satana e' "tentatore" lo sappiamo, e' il suo ruolo, quindi mette alla prova l'essere umano, il quale puo' o non puo' in funzione della qualita' e scaltrezza della Tentazione , peccare. Ma anche Dio "tenta", ce l'ha detto Cristo. Quindi come facciamo ad imputare tutte le sciagure, catastrofi, peccati in generale, alla sola azione del Maligno? Perche' si prega e impreca sempre contro Satana, e mai conto Dio, dal momento che non si puo' distinguere la matrice del Male?

Ciao Massimo

Napoli, 2003 gennaio 8, 12.12

Caro Massimo,
confrontiamo subito la traduzione dei Testimoni di Geova

MZ> In principio era il Verbo
MZ> e il Verbo era presso Dio
MZ> e il Verbo era un dio.

con quella della CEI comunemente usata in ambito cattolico:

In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.

Provo quindi ha darti una traduzione letterale (ovvero ho mantenuto gli articoli e l'ordine delle parole) del testo originale in greco:

In principio era il "verbo",
e il "verbo" era presso il Dio,
e Dio era il "verbo".

Innanzitutto -ma questo è un problema personale- non sopporto la traduzione di lògos con l'italiano "verbo", traduzione tradizionale chiaramente derivata dal latino verbum che però significa "parola" (pensa al famoso proverbio scripta manent, verba volant). In italiano "verbo" evoca casomai (soprattutto per i ragazzi scolarizzati) qualcosa tipo "il verbo 'essere'" e non bisogna assolutamente dare per scontato che i fedeli ne capiscano il significato in questo contesto. Ma perché allora si è tradotto "verbo"? Il problema è che in italiano "parola" è un sostantivo femminile e, siccome il "verbo" di cui si parla qui è Gesù che è un uomo maschio, scocciava dover ricorrere a questo femminile. A mio avviso la traduzione italiana corretta è senza dubbio "in principio era colui che è la parola", in accordo con la spesso sottovalutata Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente (TILC):

Al principio, c'era colui che è "la Parola". Egli era con Dio; Egli era Dio.

A questo proposito vale la pena ricordare un altro "in principio", quello di Genesi 1,1, in cui la creazione avviene attraverso la parola di Dio. Non appartiene quindi certo alla cultura ebraica il proverbio di cui sopra: le parole non "volano" ma creano! Questo brano della Genesi è testimone di un tempo in cui l'oralità era un valore positivo e il sapere si tramandava da bocca a orecchio -"chi ha orecchi per intendere..."- tramite un rapporto umano di fiducia da maestro ad allievo. D'altronde prima dell'invenzione della stampa era più facile introdurre errori in un testo copiandolo per scritto che imparandolo a memoria con sofisticate tecniche mnemoniche. [Vedi anche la Premessa sulla liturgia della Parola]

Ora torniamo sulla mia traduzione letterale "Dio era il Verbo" che, pur avendo ricalcato l'ordine delle parole greche e l'assenza di articolo determinativo davanti a "Dio", è però una traduzione sostanzialmente scorretta (letteristica più che letterale): la presenza dell'articolo davanti a "verbo" e l'assenza davanti a "dio" significa solo che il soggetto è "verbo" e il predicato "dio". In pratica: "il verbo era dio" ma non "dio era il verbo" [vedi la grammatica di Blass / Debrunner §273. Cfr. ad esempio 1Giovanni 4,7 o Giovanni 4,24: "dio è spirito" e non "lo spirito è dio"]. L'evangelista quindi vuol dire rigorosamente che "essere dio" è una caratteristica del "verbo". Da questo punto di vista direi quasi che per questa frase specifica è indifferente che il Verbo sia l'unico Dio o un Dio tra i tanti. Giovanni qui non vuole dirci se era l'unico o meno, non è questa l'informazione che ci vuole dare qui. L'unicità di Dio, di quel Dio, viene ribadita altrove: ad esempio subito prima nell'espressione "presso Dio" c'è l'articolo in greco anche se non suona bene in italiano.


Passiamo alla densa e stimolante argomentazione sulla conoscenza fra Cristo e il Padre:

MZ> Cristo conosceva davvero il Padre, lo conosceva come vendicativo e
MZ> "Tentatore", ovvero "Satan", dal momento che le due parole al tempo di Cristo
MZ> avevano lo stesso significato.

Qui preciserei comunque che שָׂטָן satàn in ebraico significa "avversario" e direi sicuramente non "tentatore". In greco è generalemente tradotto con διαβολος διάβολος diàbolos che significa "accusatore" in senso negativo, cioè colui che accusa calunniando, "calunniatore", che chiama in giudizio falsamente. A questo proposito si cita sempre Giobbe (ad es. 1,6ss) che fra l'altro è interessante anche per il prosieguo del discorso, in quanto non è dio a mandare il male su Giobbe; dio si limita solo a permettere che ciò accada, lasciando a Satana (come lo lascia all'uomo) il libero arbitrio di fare ciò che vuole nei confronti di Giobbe. Da qui nasce l'associazione di Satana con il titolo di "tentatore", tanto che il Grande Lessico del Nuovo Testamento [lemma πεῖρα πειρα peira] precisa che "tentare" è azione propria di Satana anche se non sempre la sacra Scrittura ricorre espressamente a termini collegati a questo campo semantico.

MZ> Ce ne da' prova inequivocabile nell'unica preghiera che insegna
MZ> ai fedeli, ovvero il Padre Nostro. Mt 6/ 13...............Kai me'
MZ> eisenenken emas eis peirasmon, ovvero ...e non c'indurre in
MZ> tentazione.........peraltro traduzione ammorbidita, in quanto il
MZ> verbo e' il cong aor attivo del verbo " Eisfero",
MZ> che significa " portare dentro" composto da Eis + fero ( es.
MZ> Luci-fero)

L'esemplificazione con "lucifero" è un po' di parte, fra le tante a disposizione composte con "-fero": ad es. "crocifero" cioè colui che porta la croce in una processione, "cristoforo" cioè colui che porta Cristo e tanti altri. "Lucifero" (in greco φωσφόρος φωσφορος fos-foros) significa letteralmente "portatore della luce" ("stella del mattino" in CEI 2Pietro 1,19). Come sia diventato un nome del diavolo è una storia molto interessante che casomai ripercorreremo in un'altra occasione.

Venendo a Matteo 6,13 direi che tradurre eis-fero con "indurre" mi sembra comunque corretto, in quanto "indurre" significa "portare dentro, introdurre". Confronta anche Luca 22,40 dove Gesù nell'orto degli ulivi (Ghet shemanim) dice: "Pregate, per non entrare in tentazione"; qui il verbo "entrare" della traduzione CEI è eis-erchomai cioè "andare verso". Anche la traduzione di peirasmòn con "prova, tentazione" mi pare corretta. Confronta le tentazioni di Gesù nel deserto [Matteo 4,1] dove si usa il verbo peiràzo derivato dalla stessa radice. Il dizionario di G. Liddell / R. Scott dà come significato principale "trial" ma, da quel che ho potuto vedere un po' in fretta, non "processo" in senso tecnico-giudiziario (per quanto stimolante in confronto con il Satana "accusatore").

MZ> Ma anche Dio "tenta", ce l'ha detto Cristo. Quindi come MZ>facciamo ad imputare tutte le sciagure, catastrofi, peccati in generale, MZ> alla sola azione del Maligno? Perche' si prega e impreca sempre contro Satana, MZ> e mai conto Dio, dal momento che non si puo' distinguere la matrice del Male?

A questo punto introdurrei nella discussione una certa distinzione fra il male/peccato e il male/morte/catastrofi naturali etc. Personalmente il male che mi può venire dall'esterno non mi spaventa quanto il male che posso fare io. Inoltre non dimentichiamo che la morte per l'uomo è naturale e connaturata.

Mi limito quindi a darti un'intuizione personale che non c'entra con l'esegesi, e cioè che "non ci indurre in tentazione" significa proprio "non lasciare che Satana ci tenti" come nel caso di Giobbe. Siccome però Satana ci tenta, si aggiunge subito: "ma liberaci dal male" (o "da colui che è male, il malvagio", anche su questa traduzione si potrebbe stare per ore, purtroppo la grammatica non può dirci se il genere dell'aggettivo sostantivato fosse neutro o maschile). Come dire: "ma se siamo tentati, fa che non cediamo". A questo proposito confronta 1Corinzi 10,13:

Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla.

In italiano generalmente si usa "mettere alla prova" in senso positivo e "tentare" in senso negativo. Di sicuro possiamo quindi dire che Dio mette alla prova:

Dio, tu ci hai messi alla prova (ebr. bachan); ci hai passati al crogiuolo, come l’argento. [Salmi 66,10; similmente Giobbe 23,10]

Il significato di "tentare, mettere alla prova" in ebraico mediante due verbi che a prima vista sono considerati sinonimi: נָסָה nasah e בָחַן bachan. Nel Salmo 95,9 ricorrono ambedue nello stesso versetto:

dove mi tentarono [nasah; LXX peirazo] i vostri padri: mi misero alla prova [bachan; LXX dokimazo] pur avendo visto le mie opere.

Il secondo è attestato più volte nel libro di Giobbe mentre il primo ricorre invece in Genesi 22,1 all'inizio del sacrificio di Isacco (in Giobbe compare invece solo in Giobbe 4,2).

Nel salmo 88 (specialmente v. 8 e 17) l'autore si lamenta del "furore" con cui è stato colpito da Dio, mentre in Salmi 109,6 si invita dio a colpire il malvagio mandandogli l'accusatore Satana. Soprattutto però c'è il celebre episodio in cui Dio mette alla prova Abramo chiedendogli il sacrificio del figlio tanto atteso, Isacco [Genesi 22]. Se però volessimo ascoltare un'ultima voce proveniente dal nuovo testamento, troviamo in Giacomo 1,13:

Nessuno, quando è tentato, dica: "Sono tentato da Dio"; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male.

La grammatica parla chiaro in questi casi, ma un conto è la grammatica, un conto la teologia: voglio dire che ad un certo punto la grammatica termina il suo compito e inizia il ragionamento su Dio.

Carissimi saluti e buon 2003,
Gian Pietro

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

VI. Non ci indurre in tentazione

2846 Questa domanda va alla radice della precedente, perché i nostri peccati sono frutto del consenso alla tentazione. Noi chiediamo al Padre nostro di non “indurci” in essa. Tradurre con una sola parola il termine greco è difficile: significa “non permettere di entrare in”, [Cf Mt 26,41] “non lasciarci soccombere alla tentazione”. “Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male” (Gc 1,13); al contrario, vuole liberarcene. Noi gli chiediamo di non lasciarci prendere la strada che conduce al peccato. Siamo impegnati nella lotta “tra la carne e lo Spirito”. Questa richiesta implora lo Spirito di discernimento e di fortezza.

2847 Lo Spirito Santo ci porta a discernere tra la prova, necessaria alla crescita dell'uomo interiore [Cf Lc 8,13-15; At 14,22; 2Tm 3,12] in vista di una “virtù provata” (Rm 5,3-5) e la tentazione, che conduce al peccato e alla morte [Cf Gc 1,14-15]. Dobbiamo anche distinguere tra “essere tentati” e “consentire” alla tentazione. Infine, il discernimento smaschera la menzogna della tentazione: apparentemente il suo oggetto è “buono, gradito agli occhi e desiderabile” (Gen 3,6), mentre, in realtà, il suo frutto è la morte.

Dio non vuole costringere al bene: vuole esseri liberi... La tentazione ha una sua utilità. Tutti, all'infuori di Dio, ignorano ciò che l'anima nostra ha ricevuto da Dio; lo ignoriamo perfino noi. Ma la tentazione lo svela, per insegnarci a conoscere noi stessi e, in tal modo, a scoprire ai nostri occhi la nostra miseria e per obbligarci a rendere grazie per i beni che la tentazione ci ha messo in grado di riconoscere [Origene, De oratione, 29].

2848 “Non entrare nella tentazione” implica una decisione del cuore: “Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. . . Nessuno può servire a due padroni” (Mt 6,21; Mt 6,24). “Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal 5,25). In questo “consenso” allo Spirito Santo il Padre ci dà la forza. “Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla” (1Cor 10,13).

2849 Il combattimento e la vittoria sono possibili solo nella preghiera. E' per mezzo della sua preghiera che Gesù è vittorioso sul Tentatore, fin dall'inizio [Cf Mt 4,1-11] e nell'ultimo combattimento della sua agonia [Cf Mt 26,36-44]. Ed è al suo combattimento e alla sua agonia che Cristo ci unisce in questa domanda al Padre nostro. La vigilanza del cuore, in unione alla sua, è richiamata insistentemente [Cf Mc 13,9; Mc 13,23; Mc 13,33-37; 2849 Mc 14,38; Lc 12,35-40]. La vigilanza è “custodia del cuore” e Gesù chiede al Padre di custodirci nel suo Nome [Cf Gv 17,11]. Lo Spirito Santo opera per suscitare in noi, senza posa, questa vigilanza [Cf 1Cor 16,13; Col 4,2; 1Ts 5,6; 1Pt 5,8]. Questa richiesta acquista tutto il suo significato drammatico in rapporto alla tentazione finale del nostro combattimento quaggiù; implora la perseveranza finale. “Ecco, Io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante” (Ap 16,15).

Vedi anche: Grande Lessico del Nuovo Testamento, lemma Σατανᾶς Σατανας Satanàs; The Jewish Encyclopaedia, lemmi Lucifero, Fall of angels; The Jewish Encyclopedia in CD-rom.

Ciclo della levata eliaca di Venere

Mercoledì 4 dicembre 2002

Gentilmente vorrei qualch notizia, se posibile, su un curioso fenomeno celeste: Venere appare il mattino per subito tramontare non appena il sole si leva. Sembra che questo accade 5 volte in otto anni. oni punto in cui appare venere è sempre su una costellazione diversa. sembra che unendo i cinque punti si ottenga un pentagono o la forma di una stella. Ne sai qualcosa in più. ti sarei grato.
Pino

Mercoledì 8 gennaio 2002

Caro Pino,
eccomi e scusa ancora l'ingiustificabile ritardo.

Mi sembra che tu ti riferisca al levare eliaco, ovvero la prima volta dopo la congiunzione con il sole in cui una stella o un pianeta, allontanandosi il sole man mano sempre più e sorgendo quindi sempre un po' prima del sole, viene osservato tra le prime luci dell'alba, per poi diventare dopo pochi minuti nuovamente invisibile perché "coperto" dall'intensa luce del sole che sta per sorgere. Con il passare dei giorni questo spazio di visibilità aumenterà sempre più in quanto il pianeta continuerà ad "anticipare" (in realtà è il sole che si allontana) il suo sorgere rispetto a quello del sole.

DIGRESSIONE TERMINOLOGICA (leggi se ti va)

Il tramonto eliaco è il fenomeno inverso e si riferisce all'ultima visibilità prima della congiunzione con il sole. Cioè la stella "anticipa" (in realtà è il sole che si avvicina) sempre il suo tramonto fino a tramontare così presto rispetto al tramonto del sole da non essere più visibile.

Questo discorso vale per le stelle (si può parlare di levare eliaco di Sirio ad esempio) e per i pianeti esterni (da Marte in fuori, che messi a confronto con il moto del sole sono praticamente immobili come le stelle). Per i pianeti interni (Mercurio e Venere) la cosa è più complicata. Infatti il loro moto visto dalla Terra è tale per cui possono iniziare a essere visibili al tramonto del sole, allontanandosi in virtù del proprio moto dal sole che cerca di inseguirli (invano per un certo tempo, ma poi li riprenderà), o terminare un periodo di visibilità all'alba.

Tu parli di

pli> venere appare il mattino per subito tramontare non appena il sole
pli> si leva.

e credo quindi ti riferisca al levare eliaco di Venere che però scompare a causa della luminosità del sole, non perché tramonti. Per tramontare al sorgere del sole il pianeta dovrebbe essere in opposizione al sole, cosa impossibile per un pianeta interno (se provi mentalmente a visualizzare due cerchi concentrici -l'orbita di Venere quello interno e della terra quello esterno- e fissi due punti su di essi che ruotano quello interno al doppio di velocità di quello esterno dovresti farti un'idea... il periodo di rivoluzione di Venere è di 0.6 anni (un anno corrisponde ad una rivoluzione della Terra!)).

(riprendi a leggere)

Ora durante un periodo sinodico (19 mesi, da congiunzione inferiore alla successiva congiunzione inferiore, o da congiunzione superiore a congiunzione superiore) Venere diventa invisibile due volte: una volta quando passa fra la terra e il sole (congiunzione inferiore) e l'altra quando passa dietro il sole (congiunzione superiore). Quindi in 8 anni ovvero 12 x 8 = 96 mesi, Venere compie 96 / 19 = quasi esattamente 5 rivoluzioni sinodiche. Per ognuna di queste 5 rivoluzioni sinodiche ricorrono i seguenti fenomeni (ho mantenuto la terminologia inglese):

"morning first"prima visibilità mattutina dopo la congiunzione inferiore (corrisponde al levare eliaco di stelle e pianeti esterni)
"morning last"ultima visibilità mattutina prima della congiunzione superiore
"evening first"prima visibilità serale dopo la congiunzione superiore
"evening last"ultima visibilità serale prima della congiunzione inferiore (corrisponde al tramonto eliaco di stelle e pianeti esterni)

[su tutto ciò che precede vedi Jean Meeus, Mathematical Astronomy Morsels ("cioccolatini di astronomia matematica"), Richmond 1997, cap. 46, pp. 295-296.]

Il calcolo preciso di questi istanti è una vera e propria arte in quanto dipende da moltissimi fattori (latitudine geografica, luminosità del pianeta, latitudine eclittica del pianeta, velocità apparente del pianeta). Se mi dai una data (ad es. gli anni in cui era costruito il castello) posso mettermi a tavolino e calcolarteli per gli 8 anni successivi.

Nel frattempo mi limito a fissarti su una carta celeste [ottenuta con il software Guide 8 di Bill Gray; www.projectpluto.com] la posizione del pianeta Venere alla congiunzione inferiore dal 2000 al 2008 [nota per me: vedi Meeus, Astronomical Algorithms, c. 36 "Some planetary phenomena" per i calcoli]. Tieni conto che il levare eliaco segue di pochi giorni (per sapere quanti approssimativamente dovrei eseguire almeno uno dei suddetti calcoli) la data della congiunzione.

Questi sono gli istanti in cui Venere è in congiunzione inferiore con il sole per gli anni 2000-2008:

[da Jean Meeus, Astronomical Tables of the Sun, Moon and Planets, Richmond 1995, tav. IV, p. 22]

Ho volutamente preso anche la congiunzione del 2009 che rispetto al nostro punto di partenza rappresenta l'inizio di un ciclo successivo di 8 anni. Sulla carta celeste vedi che coincide quasi perfettamente con l'inzio del precedente ciclo; la differenza è di +2°. Le altre congiunzioni si dispongono man mano ad intervalli mediamente di 144.5° che moltiplicato per 5 è uguale a 360 * 2 più i due gradi di cui sopra (722°).

Per la mappa ho usato una proiezione cilindrica. E' chiaro che se si usa un altro tipo di proiezione (ad es. una proiezione ortografica centrata sul "polo" dell'eclittica per cui l'eclittica corrisponde al bordo circolare della carta stessa; in realtà non ho potuto usare questa proiezione perché a causa dell'inclinazione dell'orbita di Venere (3.4°) rispetto all'eclittica alcune congiunzioni sono a nord e altre a sud dell'eclittica -il percorso del sole segnato in azzurro- e una proiezione rigorosa visualizza o le une o le altre, non tutte contemporaneamente) congiungendo i punti si ottiene un pentagono o la classica stella ottenuta congiungendo fra loro i vertici di un pentagono.

Nell'immagine venus2.jpg [ottenuta con Guide 8] troverai invece lo spostamento del sole e di Venere a partire dalla congiunzione dell'ottobre 2002. Ogni tacca è un giorno. In questo caso, se basta una differenza di 2° di altezza (se ricordo bene perché adesso sono a Napoli e ho lasciato il libro di Meeus a casa) fra sole e venere per poterla osservare (Venere è luminosissima, per le stelle ci vuole una differenza maggiore), il levare eliaco dovrebbe essere osservabile 3-4 giorni dopo la congiunzione. Come vedi il sole si muove verso il basso (la linea azzurra rappresenta l'orizzonte alla tua latitudine), Venere prima si allontana poi inizia a riavvicinarsi al sole; la nuova congiunzione (superiore stavolta) sarà preceduta dall'evento "morning last".

Fammi sapere se ti sembra tutto chiaro; in questo campo è facile fare stupidi errori. Non sapevo queste cose, ho semplicemente provato a vedere cosa saltava fuori in base alla tua richiesta: davvero interessante! Scusa se mi sono dilungato, a risentirci e tanti auguri per un buon 2003!
Gian Pietro

Onomastica italo-elamita!

27 settembre 2002

Richiesta di informazioni sulla parola umena

Salve,
mi chiamo X. Umena e da qualche giorno mi sto divertendo a cercare sulla rete qualche indizio circa l'origine del mio cognome. Trovo indizi ovunque, dalle Hawaii al Giappone, passando per l'Italia, la Finlandia e adesso mi pare anche in zone tristemente ricorrenti nella politica internazionale. Ho trovato traccia anche sul suo scritto nel quale compare come Humban-umena. Mi sembra che la parola umena significhi qualcosa negli antichi dialetti della zona dell'Elam. Se potesse fornirmi qualche indizio le sarei grato.

Cordiali saluti.
X. Umena

21 ottobre 2002

Caro sig. Umena,
perdoni il ritardo.

Humban-umena è il nome di tre sovrani elamiti che regnarono dall'antica città di Susa su quella che poi sarebbe diventata (dal VI sec. a.C.) la Persia, oggi Iran sud-occidentale, allora Elam. Il primo regnò verso il XIV sec. a.C., il secondo verso la metà dell'VIII sec., il terzo (che per alcuni studiosi è in realtà sempre il secondo -i numeri ordinali ovviamente li mettiamo noi moderni!) all'inizio del VII sec.

L'Elam per la sua posizione rappresentò fin dal IV millennio a.C. un crocevia per i commerci fra Mesopotamia e altopiano iranico fino all'India, divenendo presto anche un crocevia di culture. Nonostante buona parte della documentazione testuale sia in babilonese (ovvero la lingua del bassopiano mesopotamico), per capire il significato del nome Humban-umena dobbiamo rifarci a quel poco che sappiamo di elamico.

Innanzitutto diamo un'occhiata alla grafia del nome in cuneiforme ovvero ai singoli segni che lo compongono, ciascuno corrispondente ad una sillaba essendo il cuneiforme una scrittura sillabica. Le grafie (con leggere varianti in parentesi tonda) attestate sono hu-ban-nu-me-(en-)na e hu-(um-)pan-um-me-(en-)na, trascritte Humban-umena dal prof. F. Vallat e Humban-numena o -nimmena dai prof. W. Hinz, I. Diakonoff, G. Giovinazzo e altri. Sulla prima parte del nome non ci sono dubbi: si tratta del dio Humban, una delle principali divinità elamite. E' la seconda parte che crea problemi, tenendo conto che la doppia n può essere anche una convenzione di scrittura per una n singola (veda ad esempio l'ultima doppia n, trascritta sempre come singola). Io avevo seguito F. Vallat, ma ho visto che in generale si preferisce la seconda trascrizione, giustificandola come "(il dio) Humban (è) forza (o potenza)" dove "forza" sarebbe appunto numena (secondo il dizionario di W. Hinz e H. Koch).

Ad ogni modo non sia deluso: la nostra conoscenza dell'elamico è così scarsa che queste rimangono per lo più illazioni. Anche R. Zadok, autore del più completo studio sull'onomastica elamita, preferisce separare -umena (n. 144) con il significato di "magnificenza" quindi il nome significherebbe qualcosa come "il dio Humban (è) magnifico".

Se vuol vedere il nome in cuneiforme, dia un'occhiata qui sotto (se l'indirizzo viene spezzato a fine riga dovrà ricongiungerlo):
http://www2.domaindlx.com/elam/ctml/tuppime2query.asp?text=d.hu-pan.nu-me-en-na&lang=elamite&style=standard&src=per%20%20Umena

Spero di esserle stato utile.
Cordiali saluti,
Gian Pietro Basello

Elamite and Persian month names

10 ottobre 2002

Dear Sir;
I am writing a novel set in the Achaemenid period in Persian History and my research brought me to your richly informative site. I read your paper: Evidence of the Calendars in my quest for finding authentic monthnames. However, I must confess that your highly specialized field leaves this neophyte historian spinning. Basically, what I am looking for is the name (or a name) for the month that would have coordinated with the vernal equinox, or the time of year when the Tribute was paid to the Persian kings at Persepolis. And what would the likely monthname be for the final drinking party that Xerxes gave for all the satraps gathered (at Susa?) described in the Book of Esther? I am finding the research so fascinating that I am spending more time on these details than in writing the story! Any help pointing me in the right direction would be enormously appreciated.

Sincerely,
J.S.

21 ottobre 2002

A little foreword

Elam was the name of the Persia before the coming of the Persians (6th century bc). As a political organization, Elam is known since 3rd millennium bc and Elamite culture and language survived even the Persian conquest.

We do not know all the twelve Old Persian month-names in their Old Persian form. However, thanks to the administrative tablets from the Fortification wall of Persepolis, written in Elamite language, we know their calque in Elamite language.

Basically, what I am looking for is the name (or a name) for the month that would have coordinated with the vernal equinox,

The first month of the year was adukanaisha in Old Persian, written a-du-u-ka-na-i-sa-. One of the many Elamite forms (there are a lot of variants due to the arrangement of Old Persian words in Elamite, since the languages and the writing systems are totally different) is ha-du-kán-na-ish.

The Old Persian calendar was a lunisolar calendar such as the Babylonian one. In a lunisolar calendar the month is related to the synodic revolution of the moon and has 29 or 30 days. The middle of the month (day 14) correspond always to the full moon. The vernal equinox, being related to the solar annual cycle, happened in different dates between the last and first month, however, at least for this period, near always around the middle of the first month.

For an introduction to lunisolar calendars see Neugebauer, pp. 106-109.

See Parker & Dubberstein for accurate correspondences between Babylonian and Julian (i.e. our calendar before the Gregorian reform) calendars. Generally Babylonian and Old Persian calendars are regarded as identical, except for the different names of the months. I am not sure of this, and even Parker & Dubberstein might be wrong in particular cases.

or the time of year when the Tribute was paid to the Persian kings at Persepolis.

I do not know much about this subject. However you are right in associating the beginning of the year with the collection of tributes. I quote Dandamayev, p. 180 (see also pp. 177ff.; this book could be very helpful to you, since it is very clear and the matter is well structured):

"Persepolis reliefs depict representatives of all the peoples ... leading various animals or carrying vessels. The majority of scholars believe that these reliefs depict the delivery of gifts or tribute in kind to the Persian king on the occasion of the New Year's holiday".

And what would the likely monthname be for the final drinking party that Xerxes gave for all the satraps gathered (at Susa?) described in the Book of Esther?

I skimmed through the book of Esther but did not find mention of the final drinking party with the satraps. Please tell me the exact passage. The book is set at Susa, one of the capitals of the Persian empire. This is not surprising: we know that Persian kings spent a lot of time there.

The book of Esther is a considerable case in the ancient near East literature: only the Bisotun inscription of the Persian king Darius is so accurate in dating the events. Thanks to Parker & Dubberstein we can go back to the corrisponding Julian date. For example, from Esther 9:1 we know that the date of the Purim is the 13th day of the 12th Babylonian month, adar in Hebrew, addaru in Babylonian, and viyaxna (written vi-i-y-x-n-; note that this x resembles an English k, not English x, in pronunciation) in Old Persian, in the 12th regnal year of Xerxes (Ester 3:7), corresponding to 473 AD, March 9. Here, obviously, I skipped the question of the reliability of the book of Esther (see Yamauchi). In this regard, I think that it is astonishing that the story happened on a time span so long, more suitable to annalistic chronicles than fiction.

Attached you will find a table with the Old Persian month names (this is the transcription given by Kent; I could be more accurate, let me know) and a page of Parker & Dubberstein related to the reign of Xerxes (each line is a regnal year; if you are interested I will give you some explanations). At the following address
http://digilander.libero.it/elam/elam/calendario_babilonese_utf.htm
there is a table of the Babylonian month names.

Your sincerely,
Gian Pietro Basello

References

Ergatività e lingua elamica

Caro "Cliff",
Faccio seguito ad alcune discussioni da "gradini estivi". Ti scrivo perché ne ho approfittato per chiarirmi prima le idee io.

ERGATIVITÀ

Innanzitutto non era corretta la mia affermazione che le lingue vengono classificate in attive ed ergative. E' più corretto dire che ogni lingua ha certe caratteristiche proprie di un tipo e altre proprie dell'altro. A seconda della proporzione la si classifica come tendente ad un tipo o all'altro.

La classificazione tipologica delle lingue è poi materia discussa: ogni autore ha il suo sistema. Uno dei principali studiosi di questo ramo è il russo Klimov che suddivide le lingue in attive, nominative e ergative.

La questione della tipologia linguistica è meno astratta di quel che può sembrare, essendo correlata agli universali del linguaggio, ovvero quelle categorie mentali che essendo comuni agli uomini dovrebbero riflettersi anche nei loro linguaggi. Proprio Trombetti sosteneva la monogenesi delle lingue, non nel senso ad es. della comparazione indoeuropea (per cui francese, tedesco, latino, greco, sanscrito via via all'indietro deriverebbero da un'unica ipotetica lingua comune), ma proprio in quanto la mente umana è sempre la stessa. La realtà è però molto più complicata: basta uscire dagli ambiti tradizionali (indoeuropeo, semitico) per scoprire linguaggi dalle caratteristiche assolutamente innaturali per noi.

Arrivando all'ergativo, prendo l'esempio citato da Comrie, Universali del linguaggio e tipologia linguistica, tratto dalla lingua Ciukci (Siberia orientale).

In pratica in una lingua ergativa quello che per noi è il soggetto di una frase intransitiva* è marcato in un modo detto assolutivo, mentre quello che per noi è il soggetto di una frase transitiva* è marcato diversamente, detto ergativo, con l'assolutivo che rende l'oggetto dell'azione. In ambito tipologico, si distingue il soggetto della frase intransitiva (S; inteso quindi limitativamente rispetto alla consuetudine dell'italiano; l'assolutivo delle lingue che usano costrutti ergativi) e l'agente della frase transitiva (A; in italiano sarebbe ancora soggetto; l'ergativo dei costrutti ergativi) che agisce su un paziente (P; in italiano l'oggetto, nei costrutti ergativi l'assolutivo) che subisce l'azione.

* Transitivo: verbo con complemento oggetto ("io ho visto te"); intransitivo: non può avere complemento oggetto ("io sono venuto").

Il tutto si complica nel caso di costruzioni passive, in cui un verbo transitivo diventa intransitivo prendendo come soggetto il paziente e ponendo l'agente in un caso obliquo (che in italiano è appunto detto complemento d'agente; ad es. "tu sei visto da me"). Ma qui mi fermo...

La classificazione dell'elamico è ovviamente dibattuta. Lo studio più recente lo classifica come nominativo (per intenderci come latino o greco, con casi, verbo attivo e passivo etc.) mentre in precedenza era ritenuto ergativo. In pratica si tratta di porre l'accento più su certe costruzioni che su altre.

Da un certo punto di vista può sembrare che la realtà linguistica sia troppo complessa e diversificata per essere classificata, sancendo quindi il fallimento degli studi tipologici. In realtà si tratta di un esercizio utilissimo in quanto ci aiuta a non applicare le categorizzazioni grammaticali della nostra lingua madre alle altre lingue.

Stammi bene,
Gian Pietro

Vedere anche il gruppo "Ergativity" nel mio database bibliografico.

Edizioni critiche e traduzioni moderne

Sulle traduzioni della sacra Scrittura in lingua italiana correntemente in uso vedi
http://digilander.libero.it/elam/bibbia/tradurre.htm.

1 agosto 2002

Egregio sig. Basello, forse Lei può darmi qualche informazione sulle versioni della Bibbia più diffuse in italiano.

Innanzi tutto desideravo sapere se è vero che la prima Bibbia cattolica tradotta interamente dalle lingue originali in italiano è la versione del Pontificio Ist. Biblico del 1958 edita da Salani e prodotta dal team di A. Vaccari. E' in grado di confermarmi l'informazione o di fornirmi quella corretta?

Inoltre desideravo sapere come mai alcune note versioni della Bibbia, come la CEI (1971) e la Garofalo (1960) e forse Lei ne conosce delle altre, non indicano nelle pagine introduttive il testo greco usato come base per la traduzione del NT. Infatti si dichiara semplicemente che si è usato il teso "greco". C'è la possibilità che siano stati usati diversi testi critici contemporaneamente? Che Lei sappia è possibile che il taduttore possa preferire talvolta una lezione secondaria a quella principale del testo critico che usa? Oppure che talvolta il traduttore possa preferire la lezione principale di un testo critico piuttosto che di un altro? Se sì, mi può indicare alcuni passi dove una traduzione rivela un simile "bordeggio"?

La ringrazio per la cortese collaborazione.
cordialità
O. O.

14 agosto 2002

Caro sig. O.,
eccomi qua.

Le dico fin d'ora che per risponderle mi sono rifatto a

Carlo Buzzetti & Carlo Ghidelli (eds.), La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana. Il Nuovo Testamento (Conferenza Episcopale Italiana, Ufficio Liturgico Nazionale), Cinisello Balsamo, 1998 (ed. Paoline, £ 28'000)

in particolare ai contributi ivi raccolti di

Carlo Buzzetti, 'La Bibbia in lingua italiana. Le principali traduzioni nel XX secolo', pp. 106-118
Ezio d'Antonio, 'La traduzione della Bibbia CEI del 1971. Motivi e vicende di una iniziativa postconciliare', pp. 99-105

> Innanzi tutto desideravo sapere se è vero che la prima Bibbia cattolica tradotta interamente dalle lingue originali in italiano è la versione del Pontificio Ist. Biblico del 1958 edita da Salani e prodotta dal team di A. Vaccari. E' in grado di confermarmi l'informazione o di fornirmi quella corretta?

La prima versione italiana dalle lingue originali dovrebbe essere quella del toscano Giovanni Diodati, edita nel 1607 a Ginevra e di netta origine protestante [p. 107]. La "Diodati" è poi stata aggiornata a più riprese (1924 e seguenti [p. 111]), la più recente è la Nuova Riveduta del 1994, presente anche in softwares biblici come l'eccezionale Bibleworks. Non stupisce il primato dei protestanti sui cattolici, anche perché il Concilio di Trento (1545-1563) aveva decretato il primato della Vulgata latina. Non ho avuto modo di cercare i passi specifici fra i documenti del concilio. Ad ogni modo la situazione si sblocca nel 1757 [p. 108] quando papa Benedetto XIV esprime il desiderio di una traduzione italiana, fatta ovviamente sulla Vulgata latina dall'abate Antonio Martini (Nuovo Testamento 1769-1771, Antico 1776-1791). Questa rimane "la" traduzione per i cattolici italiani fino ai primi del 1900 [p. 110].

La versione da lei citata di Salani (Firenze 1957-1958 [p. 112]) dovrebbe comunque avere il primato di prima traduzione completa dai testi originali (precisamente il testo masoretico, l'edizione di A. Rahlfs dei Settanta e il nuovo testamento greco di A. Merk) di ambito cattolico. Precedentemente c'era stato solo qualche tentativo isolato di traduzione parziale, ad es. Niccolò Tommaseo che traduce dal greco i vangeli (Milano, 1869) o G. Vegni con L'Ecclesiaste dall'ebraico (Firenze, 1871) [p. 110]. Mi piace riportarle dall'introduzione dell'edizione di Salani l'idea che "il primo e migliore commento della Bibbia è una buona versione".

> Inoltre desideravo sapere come mai alcune note versioni della Bibbia, come la CEI (1971) e la Garofalo (1960) e forse Lei ne conosce delle altre, non indicano nelle pagine introduttive il testo greco usato come base per la traduzione del NT.

Proprio il suddetto volume lamenta che "l'avventura di una traduzione merita sempre di essere raccontata" (cito a memoria) anche se nessuno lo fa mai. La versione CEI 1971 nasce in fretta (che traspare in diversi passi tradotti un po' impropriamente) e ha il grande difetto di non essere una vera traduzione ex-novo dai testi originali (prende infatti le mosse dalla versione UTET del 1963). Ad ogni modo neanche il suddetto articolo di Ezio d'Antonio [oltre al documento di presentazione ufficiale riportato a pp. 80 e seguenti] mi sembra dare indicazioni precise a riguardo. Con questo non voglio togliere i meriti della CEI 1971: allora la necessità di una traduzione "ufficiale" cattolica era impellente, la si era rimandata troppo a lungo e l'importante è stato farla rapidamente.

> Infatti si dichiara semplicemente che si è usato il teso "greco". C'è la possibilità che siano stati usati diversi testi critici contemporaneamente? Che Lei sappia è possibile che il taduttore possa preferire talvolta una lezione secondaria a quella principale del testo critico che usa? Oppure che talvolta il traduttore possa preferire la lezione principale di un testo critico piuttosto che di un altro? Se sì, mi può indicare alcuni passi dove una traduzione rivela un simile "bordeggio"?

In mancanza di indicazioni precise posso solo immaginare che si siano usate di volta in volta le edizioni critiche più recenti. Non sono molte infatti: il Kittel per l'antico testamento ebraico (http://digilander.libero.it/elam/corrispondenze_utf.htm#leningrado) fino all'uscita della Biblia Hebraica Stuttgartensia (Stoccarda, 1967-1977), Rahlfs per i Settanta, Tischendorf, Merk poi il Nestle-Aland per il nuovo testamento greco. Non sono molte ma non è certo facile capire se l'una o l'altra.

(Le edizioni critiche del nuovo testamento greco sono analizzate in

Kurt & Barbara Aland, Der Text des Neuen Testaments, Stuttgart 1982 [ed. italiana: Il testo del Nuovo Testamento, Genova, 1987 (ed. Marietti)]

che le consiglio caldamente.)

Non saprei rispondere alle altre sue interessanti e stimolanti domande. Qualche volta mi sono imbattutto in leggere sfasature della CEI rispetto al testo greco del Nestle-Aland XXVII ed. (Novum Testamentum Graece del 1993) che uso abitualmente, ma non ricordo i passi e bisognerebbe comunque vedere se si tratta di successivi cambiamenti dell'edizione critica rispetto alle precedenti (tutti puntigliosamente elencati in apposite tabelle).

Si tratta di problemi estremamente attuali (vedi per tutto ciò che scrivo un po' alla buona di seguito, pp. 24 e seguenti, 43 e seguenti di Aland K. & B. 1987). Per il nuovo testamento si è ormai giunti ad un'edizione critica standard da tutti (si spera, il problema è semmai che nel caso di molte lingue africane etc. si traduce dall'inglese e non dai testi originali) accolta e preparata specificamente per mettere a proprio agio i traduttori: si tratta del Greek New Testament, gemello del Nestle-Aland, che riporta solo le varianti più significative, accompagnato anche dall'ottimo commentario appositamente preparato

Bruce M. Metzger, A Textual Commentary on the Greek New Testament, Stuttgart, 1994 (seconda edizione)

Le introduzioni di questi libri sono tutte molto utili. Ad ogni modo si riconosce sempre al traduttore una certa libertà nel scegliere fra varianti grosso modo equivalenti o tuttora discusse.

Scusi se mi sono dilungato. Se ha osservazioni da farmi o qualcosa da aggiungere, non manchi di farmelo sapere. Un altro libro che forse può esserle utile è

Carlo Buzzetti, La Bibbia e la sua traduzione. Studi tra esegesi pastorale catechesi, Leumann, 1993

Cordiali saluti,
Gian Pietro

Aggiunta postuma (9/X/2002) Capitatami per caso fra le mani nel Centro Studi mons. Luigi Novarese di Montichiari (Brescia) una copia de La sacra Bibbia. Tradotta dai testi originali con note a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma (casa editrice Adriano Salani, 1957), cito da pag. 27 senza bisogno di ulteriori commenti:

Per l'ebraico e l'aramaico prendiamo a base il testo masoretico praticamente identico in tutte le edizioni. Per il Nuovo Testamento ci serviamo dell'ultima ed ottima edizione del padre A. Merk, pubblicata a cura del Pontificio Istituto Biblico; per i testi greci del Vecchio Testamento ci servì l'edizione manuale dei Settanta uscita a Stuttgart nel 1935 per opera di A. Rahlfs. Però non abbiamo seguito a occhi chiusi ciascuno di questi testi, ma ci siamo tenuti in diritto, e anche in dovere, di abbandonarlo ogni qualvolta le norme di una sana e severa critica testuale ci avessero convinto che la primitiva genuina lezione è un'altra, offertaci da altro ramo della tradizione o almeno saggiamente dedotta dallo stato attuale dei testi. «Correggere i codici» scriveva S. Agostino «ha da essere la prima cura di chi vuole conoscere le divine Scritture, perché gli scorretti devono cedere il posto agli emendati» (de doctrina christiana, l. II, n. 21). Per informazione però e soddisfazione di ogni lettore istruito abbiamo indicato in appendice a ciascun volume le mutazioni introdotte nel testo di base.

18 agosto 2002

Gentile sig. Basello, La ringrazio per la mail di risposta. Non ho ben compreso la Sua risposta sul testo greco usato come base per la CEI (1971) e la Garofalo (1960). Non esiste qualche presentazione ufficiale che dice qualcosa in merito? Ho sentito parlare della "editio major", mi sa dire cos'è?

grazie
O.O.

29 agosto 2002

Eccomi qui, come al solito in gran ritardo, mi scusi.

Per quel che riguarda le edizioni dei testi originali usati per la CEI 1971 e la Garofalo 1960, la mia risposta è semplicemente che... non lo so. Per la CEI ho fatto un po' di ricerche ma, come le scrivevo, neppure il libro di Buzzetti & Ghidelli, "La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana" sembra conoscere le risposte. Si parla sempre di non meglio precisati "testi originali".

Più esauriente è invece l'edizione CEI rivista del nuovo testamento (1997) che dovrebbe diventare presto (ma quante resistenze dovrà superare!) "tipica" per l'uso liturgico e catechistico della chiesa cattolica. A pag. 651 si specifica:

"La presente traduzione ha come riferimento il testo della 26a edizione del Novum Testamentum Graece di E. Nestle e K. Aland (4a ristampa, 1981), presenta anche in The Greek New Testament a cura di K. Aland, M. Black, C. M. Martini, B. M. Metzger e A. Wickgren (3a ediz. corretta, 1983); su questo testo base è stata riveduta la Volgata latina (Nova Bibliorum Sacrorum Editio, editio typica altera, 1986), le cui scelte sono state tenute costantemente presenti nel lavoro di revisione."

Così pure la Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente (TILC) a pag. 477:

"[...] Per l'AT si è seguita la Biblia Hebraica Stuttgartensia, Stuttgart 1967-77; essa riproduce la tradizione ebraica storicamente più autorevole (masoretica). Dove il suo testo è oscuro o non comprensibile, si è fatto ricorso ad altre testimonianze (per es. le antiche traduzioni...). [...] Per il NT il punto di riferimento è cosituito da The Greek NT III ed., UBS, Stuttgart 1975, testo critico edito da [...]. Per i libri «Deuterocanonici» dell'AT i traduttori hanno tenuto presenti queste due edizioni critiche: a) Septuaginta, Vetus Testamentum Graecum, Göttingen 1931 e ss.; b) A. Rahlfs, Septuaginta, Stuttgart 1965."

Dal sopraccitato libro, per la Bibbia ed. Salani 1957-1958, dice: "Base: per l'AT "il testo masoretico" e il testo della LXX (ed. A. Rahlfs); per il NT l'edizione greca di A. Merk."; per la traduzione di S. Garofalo et al., che il libro data a Casale Monferrato, 1963, non dice nulla se non "dalle lingue originali".

Per quel che riguarda l'editio major, si riferisce alla CEI 1971 rispetto all'edizione con minime revisioni del 1974, quella attualmente usata nei lezionari (i libri liturgici con le letture della messa) cattolici. Anche qui le riporto alcune righe dalla "Presentazione della edizione minore":

"La presente edizione « minore » della traduzione italiana della Bibbia, curata dalla Conferenza Episcopale Italiana, riproduce in ogni sua parte la prima « grande » edizione (Edizioni Pastorali Italiane, Roma 1971) ed è da considerarsi tipica per l'uso liturgico. Il testo è stato accuratamente riveduto per gli opportuni emendamenti. Vi sono state anche introdotte alcune variazioni linguistiche e ortografiche, già inserite nei Lezionari liturgici. E' da augurarsi che questa edizione « minore » della Bibbia, [...]."

Se per caso riesce a trovare qualche altra informazione, mi farebbe un gran piacere a comunicarmela.

Carissimi saluti,
Gian Pietro

Ebraico vs. Aramaico

1 giugno 2002

Ho visitato con enorme piacere il suo sito (veloce, ben fatto, piacevole alla vista...) e vorrei porle una domanda abbastanza stupida per gli addetti ai lavori, ma non per me!

Sono uno studente universitario di Milano (giurisprudenza; per ora sono solo al secondo anno ma sto già indirizzando i miei studi verso l'aspetto storico del diritto, in particolare mi interessa lo studio del diritto ebraico), da poco ho iniziato a studiare l'ebraico e mi sono accorto che vi sono notevoli somiglianze con l'aramaico.

Mi potrebbe delucidare meglio le differenze sostanziali tra le due lingue? Ascoltando il Padre Nostro in aramaico e seguendo la traslitterazione, le somiglianze sono davvero notevoli...

La ringrazio enormemente per l'aiuto.
A.G.

P.S.: non vorrei sembrarle sfacciato, ma visto che c'è non mi potrebbe dare anche qualche consiglio sul come apprendere al meglio l'ebraico da autodidatta? Magari indicandomi i testi indispensabili da comprare... ho provato a cercare qualcosa nelle biblioteche della mia zona , ma non c'è molto (anzi nulla), senza parlare del fatto che mi guardano come se fossi un alieno ("Studiare l'ebraico?!?! Ma a 21 anni non hai niente di meglio da fare?").

11 giugno 2002

Eccomi qui, ovviamente in ritardo.

Ebraico e aramaico sono effettivamente molto simili. Ambedue appartengono infatti al ramo nord-occidentale della famiglia linguistica camito-semitica. Semplificando, il semitico nord-orientale è rappresentato da babilonese e assiro (le lingue dell'antica mesopotamia) mentre quello meridionale da arabo ed etiopico, tuttora parlate. Tuttavia, come ha ben scritto, si tratta di due lingue differenti, ciascuna con una propria storia.

L'ebraico è per noi cristallizzato nella forma dell'ebraico biblico che arriva fino al 200 a.C. circa, accompagnato da qualche rara iscrizione extra-biblica. Poi abbiamo l'ebraico post-biblico delle scuole rabbiniche. L'ebraico moderno (che sta al biblico, per così dire, come l'italiano al latino) è una lingua "artificiale" creata nel XX secolo.

L'aramaico, diffusosi a partire dal I millennio a.C., divenne ben presto la lingua franca del vicino oriente antico, soprattutto perché molto più semplice da scrivere rispetto al complicato sistema di scrittura cuneiforme babilonese e assira. Si scriveva inoltre su pergamena o papiro e non su tavolette d'argilla.

Alcune sezioni della Bibbia (ad es. nel libro di Daniele) ci sono state tramandate in aramaico, detto aramaico biblico, per distinguerlo da vari altri tipi di aramaico: l'aramaico antico, l'aramaico di impero, il siriaco etc.

Già dal IV sec. a.C. (dopo l'esilio babilonese) l'aramaico iniziò a sopravanzare l'ebraico in Palestina come lingua parlata.

Su questi argomenti può vedere anche
http://digilander.iol.it/elam/bibbia/unogiov.htm#lingue

La forte somiglianza con l'ebraico è rafforzata dal persistere delle consonanti nelle radici delle parole. Infatti nel semitico la maggior parte delle parole è formata da una radice triconsonantica (formata da tre consonanti) che si mantengono nelle varie lingue.

Diverse sono le scritture anche se spesso si trovano edizioni moderne di testi aramaici trascritti con i caratteri "quadrati" ebraici.

A questo proposito le consiglio
Garbini & Durand, Introduzione alle lingue semitiche, Brescia: Paideia
che è un testo rigoroso anche se non troppo impegnativo.

Per quel che riguarda le grammatiche di ebraico, io posso darle qualche indicazione sull'ebraico biblico.

In italiano, la grammatica più diffusa è
Deiana & Spreafico, Guida allo studio dell'ebraico biblico, ed. Società Biblica Britannica e Forestiera

Le consiglio l'edizione con cassetta (anche se la pronuncia non è perfetta e non distingue bene i suoni delle cosidette "gutturali") e con la chiave degli esercizi. Personalmente non mi piace tantissimo: è un po' troppo schematica e uno non deve porsi troppe domande. Ci sono anche alcuni brani biblici (genesi 1, qualche salmo, il libro di Rut, etc.) e un glossarietto.

La può trovare facilmente (come anche il libro di Garbini) in una qualche libreria cattolica, ad es. Paoline, Dehoniane etc. Ce ne sarà qualcuna non troppo distante da casa sua. Ad ogni modo avendo i dati le può ordinare. Certo sarebbe meglio se potesse prima darci un'occhiata.

Se se la cava con l'inglese, le consiglio
Simon, Resnikoff & Motzkin, The First Hebrew Primer, $34.95, EKS Publishing Co. eks@wenet.net, www.ekspublishing.com + cassetta

A Bologna ho diverse altre grammatiche sia in italiano (ad es. Carrozzini) sia in inglese (Lamdin, per principianti ma articolata in esaurienti lezioni che la porteranno a coprire tutti gli aspetti della lingua). Non avendole sottomano in questo momento (lavoro a Napoli) non posso citarle per esteso. Ad ogni modo, farò un salto a Bologna fra qualche giorno e se mi accorgo di aver dimenticato qualcosa le scrivo.

Per quel che riguarda le grammatiche di riferimento (Jouon, Muraoka), le edizioni della Bibbia ebraica (http://digilander.libero.it/elam/corrispondenza_utf.htm#leningrado) e i dizionari... mi torni a scrivere!

L'ebraico biblico non è una lingua difficile. Forse non arriverà a capire perché quella forma verbale ha una certa vocale e non un'altra, comunque riuscirà presto a comprendere una buona parte dei testi biblici (ad es. i salmi che sono poetici sono in genere più difficili). L'unico scoglio è quello di imparare a leggere la scrittura ebraica. L'unico consiglio che vorrei darle è di imparare a leggere bene, il più speditamente possibile e magari a voce alta. Il ricordo mnemonico del suono delle parole (anche per via del discorso del triconsonantismo) l'aiuterà tantissimo, tanto più che non sono tantissimi i vocaboli usualmente impiegati (circa 300).

Cordiali saluti,
se non sono stato chiaro mi scriva pure.
Gian Pietro Basello

Nabucodonosor

15 aprile 2002

Sir,
I am a french writer and I need informations about the origin of the king of Babylone, Nabukhanetzar.I cannot find if he was from the elamite people or from an other people.

Thanks a lot for your help
Best regards
A.B.

7 maggio 2002

Pardonnez mon retard.

Avant tout, quel Nebukadnezar?

Le premier (1125-1104 av. J.-C.) est d'origine inconnu. Sa famille a été associée avec Babylone, Nippur et Sippar (tous pays de la Mesopotamie méridionelle). Il est célèbre pour sa conquête de l'Elam: il reporta la statue de Marduk (le dieu babylonien) à Babylone.

Le deuxième régna dans Babylon de 604 av. J.-C. à 562. Sa origine n'est pas claire. Il est reteni de la famille de Bit Yakini, du "pays de la mer", la plus puissante du tribu Chaldéenne.

J'ai tiré ces données du Reallexicon der Assyriologie (voir Nebukadnezar). Sur le deuxième, voir Wiseman D.J., Nebuchadrezzar and Babylon, The Schweich Lectures 1983, Oxford 1985 (reprint 1991) pp. 5-7. Si vous ne réussissez pas à trouver ces livres, je peux digitalizer quelques pages ou envoyer les photocopies.

Avec mes meilleures salutations.
Gian Pietro Basello

Digitalizzazione di testi cuneiformi

22 marzo 2002

Innanzitutto ci sono due pagine di collegamenti commentati molto utili:

Di seguito ti replico alcuni dei collegamenti che troverai anche nelle succitate pagine:

UNICODE

Thesaurus Indogermanische Sprachen
http://titus.uni-frankfurt.de/
http://titus.uni-frankfurt.de/unicode/unitest.htm#samples
http://titus.uni-frankfurt.de/personal/jg/unicode/unicode.htm
oltre ad una infinità di testi in tutte le possibili lingue indoeuropee, propone l'utilizzo di Unicode per i caratteri non latini.

NEWSLETTERS

ABZU
http://www.oi.uchicago.edu/OI/DEPT/RA/ABZU/ABZU.HTML
il punto di riferimento per l'Ancient Near East in internet, curato "a mano" dal mitico "Chuck" Jones.
http://www-oi.uchicago.edu/OI/ANE/OI_ANE.html
Questa invece è la pagina da cui iscriversi ai vari servizi di News. Il servizio news annuncia l'uscita di nuove pubblicazioni, nuovi incarichi a professori, possibilità di lavoro nel campo, congressi e convegni con relativi 'call for papers', cambi di indirizzi di e-posta di professori, contenuto dei principali periodici quando escono, aggiornamenti nell'Abzu etc. E' un "must" per gli orientalisti.

L'altro circuito fondamentale è quello di Jack Sasson ma in questo momento non ho sottomano l'indirizzo.

Volontà o presenza divina? [Matteo 10,29]

Anche in questo caso sono costretto a limitarmi a qualche spunto, lasciando al lettore volenteroso (e a me stesso per il futuro) il piacere di approfondire (Bibbia alla mano) i tanti percorsi che potrebbero essere proficuamente esplorati. Casualmente (?) si ricollega al precedente (cronologicamente) o seguente (in questa pagina) Tu sei Signore in mezzo a noi?.

23 giugno 2002

29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. [CEI Matteo 10,29]

Il parroco di santa Maria a Montesanto di Napoli non finirà mai di stupirmi: oggi infatti sosteneva che questo semplice versetto (tratto dal vangelo della XII domenica ordinaria A) è tradotto male nella versione CEI. Il suo problema era: com'è possibile che Dio voglia la morte anche solo di un passero? Lasciando da parte l'aspetto teologico, a me invece interessa qui quello esegetico. Ecco il testo greco:

καὶ ἕν ἐξ αὐτῶν οὐ πεσεῖται ἐπὶ τὴν γῆν ἄνευ τοῦ πατρὸς ὑμῶν

che si può tradurre letteralemente "e uno di essi non cadrà sulla terra senza il padre vostro". Qual è l'esatto valore da assegnare ad ἄνευ àneu? Nei dizionari il significato principale è "senza" ma, proprio per il passo in questione si trova "without the knowledge and consent of" (attestato anche in documenti extra-biblici e riferito a θεος "dio" [Bauer-Arndt-Gingrich-Danker Greek-English Lexicon of the New Testament]; qui però è riferito a "padre") oltre a "apart from, away from" in altri contesti. In attesa di valutare tipologia e datazione dei documenti extra-biblici in cui compare nel senso di "senza il consenso di", possiamo accertare che nel nuovo testamento ricorre solo in 1Pietro 3,1 e 4,9 dove vale semplicemente per "senza":

1Ugualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati. [CEI 1Pietro 3,1]

9Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. [CEI 1Pietro 4,9]

Nella versione greca LXX dell'antico testamento compare invece ben 47 volte: non ho guardato tutte le occorrenze ma in genere è sempre un semplice "senza". Vediamo ora le scelte di traduzione operate da alcune versioni moderne:

King James VersionAre not two sparrows sold for a farthing? and one of them shall not fall on the ground without your Father.
New Revised Standard VersionAre not two sparrows sold for a penny? Yet not one of them will fall to the ground apart from your Father.
Elberfelder Bibel revidierteWerden nicht zwei Sperlinge für ein paar Pfennige verkauft? Und nicht {einer} von ihnen wird auf die Erde fallen ohne euren Vater.
French Nouvelle Edition de GeneveNe vend-on pas deux passereaux pour un sou? Cependant, il n'en tombe pas un à terre sans la volonté de votre Père.
Nuovissima Versione della Bibbia San PaoloNon si vendono forse due passeri per un asse? Ebbene, uno solo di essi non cadrà senza il volere del Padre vostro.

Per inciso, si noti anche Amos 3,5 dove "se non" in greco è sempre ἄνευ:

5Cade forse l’uccello a terra,
se non gli è stata tesa un’insidia?
Scatta forse la tagliola dal suolo,
se non ha preso qualche cosa? [CEI Amos 3,5]

Vediamo infine cosa ci propone la versione latina della Vulgata:

nonne duo passeres asse veneunt et unus ex illis non cadet super terram sine Patre vestro

A questo punto possiamo dare un'occhiata ai passi paralleli. Solo Luca ci fornisce un confronto sinottico:

6Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. [CEI Luca 12,6]

οὐχὶ πέντε στρουθία πωλοῦνται ἀσσαρίων δύο; καὶ ἒν ἐξ αὐτῶν οὐκ ἔστιν ἐπιλελησμένον ἐνώπιον τοῦ θεοῦ.

Luca rafforza l'immagine (come in 5,36 e 11,12 [TOB]) svalutando il cambio da 0.5 a 0.4 soldi/piccione (ma i piccioni allora erano quotati in borsa? Si chieda il lettore a che servivano i piccioni...). Il soldo è propriamente l'asse, equivalente ad un decimo di denaro [vedi Monete antiche...].

Alla luce della traduzione della Vulgata e del passo parallelo di Luca, direi che rimane un po' il dubbio che qui Gesù voglia semplicemente dire che il Padre non ci abbandonerà nemmeno nel difficile momento della morte. Il versetto precedente parla infatti della morte ma il potere di uccidere (sia nel corpo che nell'anima) non è assegnato certo al Padre:

28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna. [CEI Matteo10,28]

Infine anche i versetti successivi 32-33 non accennano alla volontà divina ma al reciproco riconoscimento (ομολογεω):

32Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. [CEI Matteo 10,32-33]

Insomma, non è questione di volontà del Padre, ma della sua presenza che accompagna ogni vicenda della vita del discepolo. A questo punto sono andato a vedere le note della Traduction Oecuménique de la Bible (TOB) che non mi delude e precisa:

Lett. senza vostro Padre. In questo contesto l'espressione significa che Dio non sarà assente alla morte dei discepoli (morte di cui non vengono precisati la causa e l'autore), oppure che i discepoli non moriranno per il vangelo senza che Iddio lo voglia; la loro morte non sarà un incidente, ma avrà un significato.

anche se io mi sarei fermato prima della parentesi che mi sembra un po' semplicistica. Nel nuovo testamento l'idea di volontà è espressa con precisione attraverso le formule τὸ θέλημα τοῦ θεοῦ "il volere di Dio" e τὸ θέλημα τοῦ πατρός "il volere del padre". Si noti qui l'uso di "padre" per "Dio", usuale in Gesù, ma che ben si adatta comunque all'idea di un padre che assiste alla morte di un figlio, più che di un dio che acconsente alla sua morte. Certo la frase può essere riferita prima di tutto a Gesù stesso che sulla croce griderà:

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? [CEI Marco 15,34]

Tu sei Signore in mezzo a noi?
[Geremia 14,9]

31 maggio 2002

Più siamo abituati a recitare o ascoltare un brano della Bibbia, più siamo inconsciamente indifferenti al suo significato. Giustamente quindi don Giovanni Bonfiglioli richiamava la mia attenzione sulla lettura breve della compieta del venerdì:

Eppure tu sei in mezzo a noi, Signore,
e noi siamo chiamati con il tuo nome,
non abbandonarci! [CEI Geremia 14,9b]

che il breviario riporta in questa forma:

Tu sei in mezzo a noi Signore,
e noi siamo chiamati con il tuo nome:
non abbandonarci, Signore Dio nostro [Liturgia delle Ore]

che non so quanto corrisponda alla versione CEI adattata del 1974 o sia una libera variazione della CEI 1971 [vedi Le traduzioni della Bibbia in lingua italiana].

Don Giovanni, richiamandosi ad un suo compagno di seminario che aveva controllato sul testo originale, faceva notare che il passo in questione è sempre letto come se ci fosse una virgola prima di "Signore" (in quel momento avevamo sottomano solo il testo del breviario). Una lettura corretta avrebbe avuto quindi il senso di "tu sei signore in mezzo a noi", che sarebbe stata anche la traduzione più logica per evitare banali fraintendimenti.

11 giugno 2002

Abbozzo solamente qualche spunto, lasciando al lettore volenteroso (e a me stesso per il futuro) il piacere di approfondire (Bibbia alla mano) i tanti percorsi che potrebbero essere proficuamente esplorati. Ne approfitto per ribadire che i contributi dei lettori al comune sforzo di lasciarsi interrogare dal testo biblico sono sempre graditissimi (e verranno incorporati nel testo)!

Prendiamo le mosse dal testo originale ebraico (si noti che, assieme ai primi vespri di sabato, è l'unica lettura breve della compieta tratta dall'antico testamento):

וְאַתָּה בְקִרְבֵּנוּ יְהוָה

letteralmente "ma-tu in-mezzo-a-noi YHWH". Purtroppo l'ebraico non utilizza i casi quindi nulla ci permette di distinguere fra un uso predicativo ("tu sei signore in mezzo a noi") o vocativo di YHWH ("tu sei in mezzo a noi, o Signore"). Ho consultato sia la grammatica Jouon & Muraoka, A grammar of biblical hebrew sia Waltke B.K. & O'Connor M., An introduction to biblical hebrew syntax: nessuno si sofferma su simili ambiguità. La mia impressione è che la posizione finale di YHWH indichi una funzione vocativa, aspettandomi l'ordine "tu YHWH in-mezzo-a-noi" per esprimere quella predicativa. Si noti anche che YHWH non è semplicemente "signore" ma il nome proprio di Dio.

Rivolgiamo ora la nostra attenzione alle traduzioni antiche:

καὶ σὺ ἐν ἡμῖν εἶ κύριε καὶ τὸ ὄνομά σου ἐπικέκληται ἐφ᾿ ἡμᾶς μὴ ἐπιλάθῃ ἡμῶν [LXX Geremia 14,9b]

quare futurus es velut vir vagus ut fortis qui non potest salvare tu autem in nobis es Domine et nomen tuum super nos invocatum est ne derelinquas nos [Vulgata Geremia 14,9]

Sia in greco che in latino è evidente l'uso di un vocativo. Passiamo quindi alle traduzioni moderne:

King James VersionWhy shouldest thou be as a man astonied, as a mighty man that cannot save? yet thou, O LORD, art in the midst of us, and we are called by thy name; leave us not.
New Revised Standard VersionWhy should you be like someone confused, like a mighty warrior who cannot give help? Yet you, O LORD, are in the midst of us, and we are called by your name; do not forsake us!
Elberfelder Bibel revidierteWarum willst du wie ein erschrockener Mann sein, wie ein Held, der nicht zu retten vermag? Du bist doch in unserer Mitte, HERR, und über uns ist dein Name ausgerufen. Verlaß uns nicht!
French Nouvelle Edition de GenevePourquoi serais-tu comme un homme stupéfait, Comme un héros incapable de nous secourir? Tu es pourtant au milieu de nous, : Eternel, Et ton nom est invoqué sur nous: Ne nous abandonne pas!
Nuovissima Versione della Bibbia San PaoloPerché sei come un uomo smarrito, come un eroe che non riesce a salvare? Eppure tu sei in mezzo a noi, Signore, e il tuo nome su di noi s'invoca! Non abbandonarci!

A questo punto dobbiamo estendere la nostra analisi a tutto il contesto delle parole "che il Signore rivolse a Geremia in occasione della siccità" [Geremia 14,1]. Lascio al lettore questo esercizio e mi limito a citare solo alcuni versetti:

8O speranza di Israele,
suo salvatore al tempo della sventura,
perché vuoi essere come un forestiero nel paese
e come un viandante che si ferma solo una notte?
9Perché vuoi essere come un uomo sbigottito,
come un forte incapace di aiutare?
Eppure tu sei in mezzo a noi, Signore,
e noi siamo chiamati con il tuo nome,
non abbandonarci!". [CEI Geremia 14,8-9]

Mi sembra significativo il "non abbandonarci" finale (ripetuto anche all'interno del più noto [cantico alle lodi mattutine del venerdì (!), terza settimana] brano successivo [Geremia 14,21]): l'imperativo negativo (espresso in ebraico da un imperfetto preceduto da אל) richiamerebbe volentieri la funzione vocativa del precedente YHWH.

Non sarà passato inosservato come la traduzione CEI vada piuttosto criticata per la semplificazione "e noi siamo chiamati con il tuo nome" che potrebbe rispondere ad una interpretazione ecclesiale accettabile se comparisse unicamente nel breviario. Letteralmente è "il tuo nome è stato proclamato su di noi" [TOB], come conferma la versione greca LXX e la Vulgata latina. Si tratta di un'espressione ricorrente che ci ricorda il valore sacrale (e non casuale) del nome per gli ebrei: l'atto di dare il nome implicava infatti signoria e possesso [confronta ad es. Genesi 1].

Eclissi totali di sole a Persiceto

Vorrei sapere quante e quali eclissi totali di sole sono state visibili a san Giovanni in Persiceto (BO) dal 1000 in poi.

20 giugno 2002

Ecco le date, calcolate grazie all'eccellente software Guide 7 di Bill Gray:

datatipograndezza1234
3 giugno 1239
10 giugno gregoriano prolettico
totale1.00611:02:4912:20:0112:23:0813:37:56
23 marzo 1270
30 marzo gregoriano prolettico
anulare0.980non sorto5:37:565:39:246:44:48
22 maggio 1724quasi totale0.99617:46:15già tramontato
7 settembre 1820anulare0.94112:49:2214:15:2114:19:0415:36:55
8 luglio 1842quasi totale0.9924:42:256:40:44
9 ottobre 1847quasi totale0.9016:10:468:59:49
15 febbraio 1961totale
Decima, Pieve di Cento
sul limite della totalità
1.0016:33:147:37:517:38:408:49:20
13 luglio 2075anulare0.963non sorto4:34:224:38:205:41:40
14 giugno 2151quasi totale
totale a Bolzano, Udine
0.96617:38:19già tramontato

1: primo contatto (inizio eclisse); 2: inizio fase totale o anulare; 3: fine fase totale o anulare; 4. ultimo contatto (fine eclisse). Istanti in tempo universale.

Una data ebraica

7/III/2002

vorrei sapere a quale data del nostro calendario corrisponde il 24esimo giorno del nono mese del 1917 del calendario ebraico.

vi ringrazio anticipatamente
Anna

13/III/2002

Premesso che non sono un esperto di calendario ebraico, secondo l'algoritmo di Reingold e Dershowitz, il 24/9/1917 ebr. corrisponde al 10 novembre -1844 gregoriano cioè al 10 novembre 1845 a.C.

Per le date precedenti l'introduzione del calendario gregoriano (cioè quello attualmente in uso in Italia e nel mondo "occidentale") si usa in genere il calendario giuliano per cui la data in questione corrisponderebbe al 26 novembre 1845 a.C., anche se per una data così remota neppure il calendario giuliano esisteva (fu introdotto da Giulio Cesare nel 45 a.C.).

Ci muoviamo quindi in un passato "ricostruito" da noi, proiettando all'indietro sistemi calendariali messi a punto successivamente. Lo stesso vale anche per il calendario ebraico che fu codificato (cioè ne furono messe per iscritto le regole) nell'anno 4119 ebraico (359 d.C.; il calendario ebraico inizia a contare il numero degli anni dal 7 ottobre 3761 a.C. giuliano) da Hillel II. Bisogna però dire che il calendario ebraico aveva alle spalle una lunghissima tradizione d'uso.

Siccome mi sembra strano che lei sia interessata ad una data così remota, ho pensato che volesse sapere il giorno del nostro calendario in cui cadeva il 24° giorno del nono mese ebraico del "nostro" (gregoriano) anno 1917. In tal caso, si tratta del 9 dicembre 1917, corrispondente al 24 Kislev (il nome ebraico del nono mese) 5678.

Spero di esserle stato d'aiuto e di non aver fatto errori di calcolo! Se non sono stato chiaro, non esiti a ricontattarmi.

Cordiali saluti.
Gian Pietro Basello

Softwares biblici

28 dicembre 2001

Sono un giovane frate cappuccino e volevo chiederti un parere su qualche strumento di studio della Bibbia: cosa pensi del programma freeware presentato qui: www.laparola.net/programma/index.php, e come giudichi il prodotto di cui qui: www.lda.it/nat3.htm.

Conosci qualcos'altro di valido?

Ti ringrazio fin d'ora, e ti auguro buon anno.
Pace e bene.

fr. Giovanni

30 dicembre 2001

Non ho mai usato concretamente il programma della LDA, ma posso assicurarti che quello di Richard Wilson (http://www.laparola.net/programma/; il primo da te segnalato) è semplicemente eccezionale. Lo consiglio sempre a tutti perché grazie alla tecnologia e al prezioso lavoro di Richard (che fra l'altro non chiede nulla) anche chi non conosce le lingue antiche può avvicinarsi un po' di più ai testi originali, con risultati molto proficui anche per la preghiera e la meditazione personale. Non è un caso che i primi software "biblici" siano nati in ambiente protestante e che pochi cattolici ne facciano uso!

Alcune delle caratteristiche più interessanti:

Il programma di Richard ha poco da invidiare ai programmi professionali del mercato americano dove questi software sono molto richiesti e diffusi fra pastori e fedeli. Io uso una vecchia versione di Bibleworks (http://www.bibleworks.com/) che ha un motore di ricerca molto elaborato capace di eseguire complesse ricerche lessicali e morfologiche direttamente sul testo greco ed ebraico. In compenso, non ha molte delle funzionalità sopra elencate e, fra le tantissime traduzioni bibliche in varie lingue, non ha la CEI. Un altro programma molto famoso è Logos (http://www.logos.com/), che a me non piace tanto, anche se oltre alla Bibbia contiene moltissimi altri testi religiosi e patristici etc. (in inglese per lo più). Questi programmi costano comunque dai 300 dollari in su. Bibleworks potrebbe esserti realmente utile se conosci bene ebraico e/o greco biblico.

Tornando in Italia, per il giubileo, ne avrai sentito parlare, è uscito a 10'000 lire un CDrom a forma di carta di credito con il testo CEI e le note della Bibbia di Gerusalemme più tante altre funzioni interessanti (http://www.elpismedia.com/). Sono molto critico con chi ha fatto questo lavoro: è una bellissima idea, un programma utilissimo, prezzo contenuto, ma è appesantito inutilmente da una grafica ricercatissima. Risultato: su molti PC di vecchia generazione (richiede almeno 64Mb di RAM) non gira...

Per fortuna, sempre l'anno scorso, l'Ufficio Catechistico Nazionale ha allegato al libro "Incontro ai catechismi" (Libreria editrice vaticana, solo 24'000 lire) un Cdrom contenente tutti i catechismi con tanto di figure e il testo della Bibbia CEI con avanzate capacità di ricerca e, soprattutto, con le note della Bibbia di Gerusalemme (mancanti purtroppo nel programma di Richard che, non essendo cattolico, è già molto che includa il testo CEI).

Ti consiglierei quindi il programma di Richard e quest'ultimo con le note della Bibbia di Gerusalemme: sono i più completi e si avviano rapidamente, permettendo di trovare immediatamente quello che si cerca.

Infine, proprio in questi giorni, sono usciti con Famiglia Cristiana 2 CDrom contenenti tutta la Bibbia della Famiglia (http://www.sanpaolo.org/fc/bibbia.htm), in passato distribuita a fascicoli. Li ho qui sulla scrivania ma non ho ancora avuto tempo di darci un'occhiata. Comunque, visto che l'opera su carta era davvero eccellente (testo non CEI, commenti e note esegetiche di Ravasi, belle illustrazioni, ogni brano spiegato ai bambini con disegni etc.), credo sia valsa la pena comprarli. Ognuno costa 9'900 lire. Sono stati realizzati in collaborazione con il produttore della Bibbia su "carta di credito" quindi credo che abbiano un'interfaccia grafica molto elaborata!

Spero di esserti stato utile.
Scusa se mi sono dilungato...
Ricambio gli auguri!
Cari saluti

Gian Pietro Basello

30 dicembre 2001

Carissimo,
ti ringrazio della risposta: articolata e informata. A proposito dei CD-Rom in uscita con Famiglia Cristiana. Ho già provato quello dedicato all'Antico Testamento (che condensa ben 8 volumi cartacei!). Ebbene, con mia (e tua!) sorpresa, i produttori hanno scelto di offrire la possibilità di scegliere tra navigazione multimediale (più attraente ma lenta) e navigazione veloce. Tra l'altro ottima la tecnologia usata basata sul programma Quick Time che rende il CD multipiattaforma, cioè leggibile anche da computer Macintosh.

A proposito... ti fara piacere sapere che un mio carissimo amico -- frate cappuccino veneto come me -- che sta studiando a Gerusalemme ha costruito un sito
www.communiobiblica.too.it
Assieme ad altri studenti cerca di aprire la Bibbia ai navigatori di Internet... Un'iniziativa che mi piace.

Augurandoti buon anno, ti saluto
Shalom

fr. Giovanni

Il vangelo di Tommaso

17 dicembre 2001

Caro Gian,
Ti scrivo per avere informazioni su un ritrovamento archeologico (vero o presunto non lo so) di cui sono venuto a conoscenza Ho saputo infatti che Nel film "Stigmate" (o "Stimmate", non so), si fa riferimento a un ritrovamento avvenuto nel 1945 a Nag Hammadi, sulle rive del Nilo, di alcuni papiri contenuti in una brocca, risalenti all'epoca di Gesù, e ora conservati al Museo Egizio Copto del Cairo. Questi papiri, scritti in copto, probabilmente tradotti dall'aramaico, conterrebbero quello che sarebbe il V Vangelo o Vangelo di Tommaso. Dice il film che in questi scritti sarebbero contenute verità "scottanti" e "compromettenti" (???) che hanno indotto la Chiesa Cattolica a considerarlo eretico. Ne sai qualcosa, o è l'ennesima bufala costruita ad arte per inventare storie religioso-archeologico, che mettono in luce l'ennesimo complotto del Vaticano per nascondere verità che la delegittimerebbero ? Nel film viene anche presentato Tommaso detto Didimo (che significa solamente gemello), come gemello spirituale di Gesù, e con questo si tenderebbe a dire che i "detti segreti di Gesù" contenuti nel suo vangelo sarebbero più veri, profondi ed importanti di quelli "accomodati" dei vangeli canonici.

Se ne sai qualcosa fammi avere notizie.

Ciao, Massimo.

4 gennaio 2002

Per rispondere alla tua e-mail bisogna addentrarsi nel complesso mondo della gnosi e dello gnosticismo. Ti cito subito il "Dizionario del Cristianesimo" di Jesus:

Gnosi/gnosticismo Dal greco gnostikòs, aggettivo di gnòsis, «conoscenza». Vasto movimento nel quale confluirono elementi filosofici, teosofici, mitici, religiosi ecc., di origine precrsitiana, ma poi diventato eresia cristiana come tentativo di riduzione della salvezza, in una quadro fortemente soggettivo, a una redenzione dell'uomo -scintilla divina presente nel mondo- mediante la gnosi o conoscenza del suo vero essere celeste e della via indicatagli dal redentore-rivelatore. La scoperta di una biblioteca gnostica, nel 1946, a Nag Hammadi (Egitto), ha permesso di approfondire la conoscenza dello gnosticismo, altrimenti conosciuto solo attraverso le testimonianze di alcuni scrittori cristiani (Ireneo, Ippolito e altri).

Non è una gran esposizione dello gnosticismo ma cita subito Nag Hammadi. Passiamo al "Dizionario biblico" di Jesus che, come sempre, è sintetico ed esauriente:

Gnosi ("conoscenza") - Un movimento che ritiene decisiva la conoscenza religiosa; essa viene ottenuta per intuizione, profetismo, visione, magia. Il mondo era considerato in maniera pessimistica e veniva separato eccessivamente da Dio (fino alla dottrina del Dio buono da un lato e dal creatore cattivo dall'altro). L'uomo è caduto in questo mondo, però sarà liberato da esso e dalla prigione del suo corpo e diventerà immortale per mezzo della retta conoscenza. In questo movimento si trovano pensieri persiani, egiziani, greci (platonismo), giudaici, etc., in seguito anche cristiani. Quei passi del Nuovo Testamento che lo riguardano non si mettono contro i vari sistemi gnostici che per lo più sono assai fantasiosi, ma solo contro il loro atteggiamento di fondo, cui ripugnava di ammettere un intervento di Dio in questo mondo o una reale incarnazione (per esempio: Atti 8,9ss: Simone il Mago? Colossesi 2,8?; Giovanni 1,14?). Nel Nuovo Testamento sono state recepite delle istanze legittime della gnosi. Parecchi apocrifi del Nuovo Testamento sono stati composti nello spirito della gnosi.

Dopo questa lunga introduzione, tanto per creare un po' di atmosfera, basta prendere Marcello Craveri, I Vangeli apocrifi (Einaudi, £ 18'500) per trovare una conferma puntuale a quanto riferito nella tua lettera. L'unica cosa da smentire è il ruolo del Vaticano: come testimonia il prezzo del suddetto libro e le tante altre edizioni del Vangelo di Tommaso, non c'è stato alcun occultamento. E' vero però che l'accesso ai manoscritti fu problematico fino al 1967 ma, per quel che mi sembra di capire, a causa delle travagliate vicende storiche dell'Egitto in quegli anni (e forse anche alla tremenda concorrenza che si scatena in questi casi fra gli studiosi del settore).

Per il resto, ti rimando direttamente alle pagine 477 e 481-483 del suddetto libro, che troverai anche all'indirizzo (porta pazienza...) http://digilander.iol.it/elam/bibbia/tommaso_craveri.htm la cui lettura troverai sicuramente interessante!

Se sarai incuriosito abbastanza per leggerti la traduzione del Vangelo, posso passarti il libro o puoi andare all'indirizzo
http://members.xoom.it/ikthys/Libri_elettr/apogrifi/Vang_Tommaso.htm
con una introduzione http://members.xoom.it/ikthys/Libri_elettr/apogrifi/Vang_Tommaso_intr.htm
(sito cristiano ecumenico)
o
http://www.consapevolezza.it/aetos/vangelo_tommaso/vangelo_tommaso.asp
(con note e riflessioni varie, sito di un "libero pensatore")
o
http://utenti.tripod.it/cristianesimo/Vangeli/Vangelo_Tommaso.html
con altri collegamenti http://utenti.tripod.it/cristianesimo/Vangeli/altri_siti.html.

Attenzione a non confonderlo con il Vangelo dello pseudo-Tommaso, che è un'altra storia che meriterebbe di essere raccontata!

Gian Pietro

Calendario lunare

22 ottobre 2001

Ho apprezzato molto le sue spiegazioni sui calendari. Gradirei ricevere il suo aiuto per risolvere il seguente quesito. Immagini di stare nel paleolitico superiore, diciamo 25.000 anni fa circa, affacciato sull'adriatico in Puglia. Una sacerdotesa contava l'anno segnando tredici tacche su un osso. ogni tacca rappresentava una lunazione completa, e le tredici tacche indicavano che era passato l'anno.

Mi sto arrovellando per capire come quella sacerdotessa avesse intuito che tredici lunazioni erano un anno, quale era il suo punto di riferimento per intuire che l'anno era trascorso?

Non credo che iniziassero a contare da un solstizio od equinozio.

Lei cosa ne pensa. Grato per una sua risposta anche se negativa. grazie.

P.G.

13 novembre 2001

Non è facile rispondere alla sua domanda. Provo a dirle alcune mie riflessioni, ma premetto che non hanno un grande valore.

Giustamente il ciclo lunare divenne la base per misurare periodi di tempo brevi:

sono tutti fenomeni strettamente collegati fra loro che non potevano passare inosservati. Anzi, oggi possono passare inosservati per colpa degli orologi e della luce elettrica, ma certo non una volta (e parlo anche solo di 50 anni fa).

Non poteva passare inosservato però neanche il ciclo solare annuale che comporta:

Il ciclo solare comporta quindi, rispetto al ciclo lunare, anche delle evidenti ricadute sul nostro modo di vita: anche oggi di inverno dobbiamo cambiare il nostro abbigliamento e le nostre abitudini (ad esempio, stiamo meno all'aperto)... a maggior ragione una volta, per gruppi di cacciatori/raccoglitori o agricoltori, in cui l'approvigionamento di cibo era questione di vita o di morte.

Ambedue i cicli si percepiscono facilmente, tuttavia quello lunare è più facilmente misurabile, sia per la sua brevità che per i segni evidenti delle fasi. Non a caso: la brevità del ciclo comporta uno spostamento giornaliero più evidente. Non è facile infatti (come giustamente sottolinea nella sua lettera) determinare momenti chiave del ciclo solare come l'equinozio o il solstizio. E' anche un problema di precisione: al massimo (grazie all'ombra di un bastone o prendendo nota dei punti di sorgere e tramonto) si poteva intuire che si era nei pressi di quello che noi chiamiamo equinozio o solstizio, ma determinarne il giorno con precisione non doveva essere facile.

Non dobbiamo però sottovalutare i nostri lontani predecessori.

Innanzitutto gli agricoltori sono in grado di determinare il giorno dell'anno con una notevole precisione (diciamo con l'approssimazione di una settimana ma dovrei informarmi meglio) in base alla maturazione di determinate specie di piante, soprattutto in determinate situazioni ambientali.

Poi c'è il sistema della levata o tramonto eliaco di una stella. Si tratta di un sistema molto preciso e ampiamente utilizzato sia in Mesopotamia che in Egitto proprio con lo scopo di controllare la durata dell'anno. Non so se potesse essere in uso già 25'000 anni fa ma credo che, dopo aver notato che circa 12-13 cicli lunari corrispondevano al ciclo annuale della vegetazione, questo dovesse essere il passo successivo.

Ad esempio Esiodo (Opere e giorni 383) dice che quando sorgono le Pleiadi (il noto asterismo nella costellazione del Toro) inizia la mietitura. Il verbo sorgere dovrebbe indicare la levata eliaca delle Pleiadi.

Per levata o levare eliaco si intende la prima volta che la mattina, appena prima dell'alba, si può osservare per alcuni minuti una determinata stella. Infatti pochi minuti prima la stella doveva ancora sorgere, mentre pochi minuti dopo l'alba (la luce del sole che sta per sorgere) la renderà di nuovo invisibile. I giorni precedenti al levare eliaco il sole è ancora troppo vicina alla stella, mentre nei giorni seguenti aumenterà sempre più il periodo di visibilità prima dell'alba, ovvero di giorno in giorno la stella sorgerà sempre prima nel corso della notte (sorge prima perché il sole si sta allontanando sempre più da lei). Spero di essermi spiegato... non è un fenomeno semplice da spiegare e sicuramente non l'ho spiegato bene! Bisogna aver presente che il sole si muove apparentemente di circa un grado (360 gradi diviso 365 giorni) al giorno (spostamento dovuto alla rivoluzione della terra intorno al sole) in senso contrario al verso in cui ruota apparentemente la volta celeste (movimento apparente per cui vediamo il sole sorgere a est e tramontare ad ovest che corrisponde alla rotazione della terra su se stess in senso opposto).

Il tramonto eliaco è viceversa l'ultimo giorno in cui si vede ancora la stella poco dopo il tramonto del sole. Nei giorni precedenti tramontava più tardi e rimaneva visibile più a lungo dopo il tramonto del sole, nei giorni seguenti tramonta ormai assieme al sole (è il sole ovviamente che si muove verso la stella risalendo l'eclittica) e non è più visibile. Nel caso di stelle molto luminose questo fenomeno è facilmente percepibile, specie con i cieli bui e gli orizzonti privi di palazzi e grattacieli di una volta! Doveva essere in origine una vera e propria curiosità: la prima o l'ultima volta che nel corso dell'anno si vedeva quella stella in cielo. L'unico problema è in caso di nuvolosità: in Mesopotamia, ad esempio, venivano utilizzate liste che annotavano la levata eliaca di molte stelle, una ogni dieci giorni circa, in modo da avere sempre un elemento di paragone.

A parte il fenomeno della precessione (che su brevi periodi di anni non si rende evidente), levare e tramonto eliaco di una determinata stella cadono sempre nello stesso giorno in rapporto al ciclo solare in quanto sono determinati proprio dalla posizione del sole sull'eclittica.

Levare e tramonto eliaco sono separati da un numero ben preciso di giorni. Questo numero dipende dalla latitudine celeste (declinazione) della stella in relazione alla latitudine terrestre dell'osservatore. Ad es. le pleiadi sono molto a nord, quasi circumpolari per la nostra latitudine, e fra scomparsa serale e ricomparsa mattutina non intercorre tanto tempo (due mesi credo).

Sui calendari lunari di epoca glaciale la rimando (forse lo conosce già) a Anthony Aveni, Gli imperi del tempo, edizioni Dedalo, £ 40'000 pagg. 79 e seguenti (a pagg. 52ss parla invece del levare eliaco delle Pleiadi).

Come esempio di un calendario basato sul levare eliaco di Sirio (quello degli antichi egizi), le segnalo Carlo Gallo, L'Astronomia Egizia, ed. Muzzio, £ 28'000 capitoli 'Il Calendario' e 'La misura del tempo'.

Un po' più tecnico (un vero classico in questo genere però) le segnalo infine Otto Neugebauer, The Exact Sciences in Antiquity so che ne esiste un'edizione italiana dal titolo 'Le scienze esatte nell'antichità'.

Perdoni se mi sono dilungato. Mi scriva pure se ha qualche osservazione da farmi o se non mi sono spiegato bene!
Cordiali saluti.

Gian Pietro

Tramonto estivo a Puget-Théniers

La sera del 7/VII/2001, dopo un pomeriggio trascorso nelle rosse e profonde gole del fiume Var, una passeggiata nei dintorni della cittadina francese di Puget-Théniers (poco oltre il confine italiano nell'entroterra) ci dava la possibilità di ammirare un cielo ancora intensamente azzurro e luminoso. Erano le 21h45m e il mio amico Ivan M. mi faceva notare come a Persiceto fosse molto più buio a quell'ora, nonostante ci trovassimo più o meno alla stessa latitudine.

20-21/VII/2001

Ovviamente quella di Ivan M. non era affatto un'impressione (per il momento guardate solo le prime due righe della tabella!):

località altitudine longitudine latitudine sorge tramonta
Persiceto (BO) 21m E 11° 11' 18" N 44° 38' 21" 05h37m 21h02m
Puget-Théniers 410m E 06° 54' N 43° 57' 05h53m 21h20m
Barberino di Mugello (FI) se fosse a 21m E 11° 15' N 44° 00' 05h39m 21h00m
Puget-Théniers se fosse a 21m E 06° 54' N 43° 57' 05h56m 21h17m
Finisterre (Spain) se fosse a 21m W 09° 15' N 42° 54' 07h05m 22h18m
I tempi, calcolati per il 7/VII/2001 con il software Guide 7 di Bill Gray, sono dati in ora estiva (UT + 2).

Come si vede dai tempi calcolati per Barberino di Mugello, ovvero una località avente all'incirca la stessa longitudine di Persiceto e la stessa latitudine di Puget (71.2km a sud di Persiceto), non è la diversa latitudine a far la differenza. Fra l'altro, d'estate la latitudine influisce sugli istanti di sorgere e tramonto del sole nel seguente modo: una latitudine più alta anticipa il sorgere e ritarda il tramonto rispetto ad una latitudine minore, aumentando la lunghezza del dì fino ad arrivare al polo dove non è mai notte. Nel nostro caso invece abbiamo un ritardo nel sorgere di 00h16m e un ritardo quasi identico nel tramonto di 00h18m, con una lunghezza del dì maggiore di 2 minuti pur trovandosi ad una latitudine minore a causa della maggior altitudine (si tenga conto anche dell'arrotondamento).

La causa è quindi principalmente la diversa longitudine all'interno del medesimo fuso orario. I fusi orari sono spicchi di 15° (360° / 24h = 15°) centrati sulle longitudini divisibili per 15 (ad esempio 0°, 15°, 30° e così via). Tutte le località entro il fuso adottano il tempo medio del meridiano centrale del fuso. Il nostro fuso è quello dell'Europa Centrale, centrato sulla longitudine E 15°, che si estende idealmente dalla longitudine E 7.5° a quella E 22.5°. Nella realtà i fusi si adattano però ai confini degli stati che li adottano, oltre che ad altre esigenze: ad esempio, Francia e Spagna preferiscono avere un'ora identica alla maggior parte dell'Europa pur trovandosi per lo più o totalmente fuori dal fuso ideale dell'Europa centrale. Giustamente quindi la Gran Bretagna, che è nello stesso fuso ideale della Francia, ha un'ora in meno rispetto a noi.

la rotazione della terra dalle 18h30m alle 22h00m ora estiva del 7/VII/2001 (>>238k)A parità di orario degli orologi (stesso fuso), a Persiceto il sole sta tramontando quando a Puget, che si trova 340km circa a ovest (350.66km in linea d'aria), è ancora un po' alto sull'orizzonte. La terra ruota infatti da ovest verso est, per cui il sole apparentemente compie in cielo un percorso diurno da est verso ovest. Fra Puget e Persiceto c'è una differenza in longitudine di 4° 17'; se 15° in longitudine equivalgono a 1h di tempo allora 4° 17' (4.283 in gradi e decimali) corrispondono a 00h17m circa (0.285 in ore e decimali) che è proprio il ritardo di Puget rispetto a Persiceto. Per ottenere il tempo riportato in tabella bisognerebbe aggiungere anche il piccolo effetto dovuto alla differenza di latitudine e altitudine.

A questo punto immaginiamo di andare a Finisterre, uno dei paesi più occidentali della Spagna: vedremmo il sole sorgere alle 7h e tramontare ben dopo le 22h! Una volta questo non sarebbe successo: le meridiane segnavano esclusivamente il tempo vero locale (mezzogiorno = sole alla massima altezza diurna sull'orizzonte); tenendo conto dell'equazione del tempo (la differenza fra tempo vero e tempo medio, variabile nel corso dell'anno) si poteva ottenere il tempo medio (mezzogiorno ogni 24 ore), a cui si doveva infine aggiungere l'equivalente orario della differenza in longitudine rispetto al meridiano centrale del fuso per avere l'ora degli orologi (mezzogiorno ogni 24 ore nello stesso istante per tutto il fuso). La differenza oraria per Persiceto è pari a 15° (meridiano centrale del fuso) - 11° 11' 18" (longitudine di Persiceto) = 3.8116° (gradi e decimali per comodità) ovvero 15m14.8s in meno. Solo nelle meridiane più accurate venivano indicati anche questi dati; spesso l'equazione del tempo (che varia a seconda dei giorni dell'anno) era data in forma grafica attraverso la caratteristica curva a 8 della lemniscata.

Per concludere, torniamo a Persiceto dove...

I tempi estremi di alba e tramonto non corrispondono con i solstizi a causa dell'equazione del tempo. Dell'equazione del tempo parleremo un'altra volta... nel frattempo vi rimando alla chiarissima e brillante spiegazione di J. Meeus in Mathematical Astronomy Morsels pagg. 337ss (in inglese).

[Questi ultimi dati possono variare minimamente (un giorno, un minuto) da anno ad anno; quelli riportati sono calcolati per il 2001. Le distanze sono calcolate con il metodo di H. Andoyer riportato in J. Meeus, Astronomical Algorithms. Le coordinate di Puget e Finisterre (meno accurate di quelle di Persiceto) le ho tratte dal database di Heavens-Above. Spero di non aver commesso errori di calcolo! (31/VII/2001) Ho realizzato l'animazione della terra ruotante assemblando alcune immagini ottenute con il software Guide 7 di Bill Gray.]

Titulus Crucis

Don Antonio M. sta dipingendo un quadro raffigurante la crocifissione di Gesù e mi chiedeva come scrivere in ebraico, greco e latino (coerentemente con il vangelo di Giovanni) l'iscrizione posta sulla croce...
(27/VII/2001) Foto migliori, aggiunte e correzioni dopo la mia visita a Firenze del 26/VII/2001.

17.20/VII/2001

Il punto di partenza è Giovanni 19,19-22:

19Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei". 20Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 21I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: "Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei". 22Rispose Pilato: "Ciò che ho scritto, ho scritto". [CEI]

Da qui possiamo trarre il testo in greco:

Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ βασιλεὺς τῶν ἸουδαίωνΙησους ο Ναζωραιος ο βασιλευς των Ιουδαιων
Iesùs o Nazoràios o basilèus ton Iudàion

oppure in maiuscolo, come ci aspetteremmo in un'iscrizione di questo tipo:

ΙΗΣΟΥΣ Ο ΝΑΖΩΡΑΙΟΣ Ο ΒΑΣΙΛΕΥΣ ΤΩΝ ΙΟΥΔΑΙΩΝ

Per completezza, riporto anche il testo dell'iscrizione secondo gli altri vangeli:

costui è il re dei Giudei
οὗτός ἐστιν Ἰησοῦς ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίωνουτος εστιν Ιησους ο βασιλευς των Ιουδαιων [Matteo 27,37]
il re dei Giudei
ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίωνο βασιλευς των Ιουδαιων [Marco 15,26]
il re dei Giudei (è) costui
ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων οὗτοςο βασιλευς των Ιουδαιων ουτος [Luca 23,38]

Dalla Peshitta, la versione aramaica del nuovo testamento, ricaviamo il testo in aramaico:

הָנָא יֵשׁוּע נָצרָיָא מַלכָּא דַיהוּדָיֵא
hana yeshu natzraia malka dayhudayeh

letteralmente "questi (è) Gesù Nazareno re dei Giudei" che si può facilmente volgere in ebraico:

זֶה יֵשׁוּעַ הַנָּצְרִי מֶלֶך הַיְּהוּדִים

anche se probabilmente l'evangelista Giovanni con l'avverbio Ἑβραϊστί ebraistì 'ebraicamente, in ebraico' [Giovanni 19,20] intendeva proprio l'aramaico ovvero la lingua correntemente parlata allora dagli Ebrei. Sia per l'aramaico che per l'aramaico, in un'iscrizione di questo tipo si sarebbe certamente omesso la vocalizzazione, rappresentata dai vari punti e piccoli segni posti per lo più sotto le consonanti. Ecco quindi come si presenterebbe l'iscrizione in aramaico:

הנא ישוע נצריא מלכא דיהודיא

Per il testo latino basta ricorrere alla Vulgata (la traduzione di san Girolamo della sacra Scrittura):

Iesus Nazarenus rex Iudaeorum

oppure in maiuscolo, come ci aspetteremmo in un'iscrizione di questo tipo:

IESVS NAZARENVS REX IVDAEORVM

da cui la classica abbreviazione I.N.R.I. su molte croci delle nostre chiese.

Dopo aver così recuperato il probabile testo dell'iscrizione nelle tre lingue, dovremmo compiere per ciascuna lingua una piccola ricerca paleografica per individuare quale grafia si sarebbe usata allora a Gerusalemme per redigere un'iscrizione di questo tipo. Da questo punto di vista il latino crea pochi problemi: la grafia corrisponde a quella attuale. Per quel che riguarda il greco, per scrivere la lettera sigma maiuscola sarebbe stato sicuramente utilizzato il carattere CC al posto di ΣΣ. L'ebraico e l'aramaico infine erano scritti con una grafia più arcaica. Con gli strumenti che ho a portata di mano qui a casa posso a malapena scrivere l'iscrizione così come sarebbe potuta apparire su un rotolo di papiro nel primo quarto del I sec. d.C. a Qumran [confronta Birnbaum pag. 144 n. 87A*]):

l'iscrizione aramaica con i caratteri utilizzati per scrivere su papiro a Qumran

Dopo aver consultato un manuale di paleografia ebraica, ho fatto un collage con i caratteri monumentali incisi su un'iscrizione sepolcrale datata fra il I sec. a.C. e il 68 d.C. [Solomon Asher Birnbaum, The Hebrew Scripts, Leiden 1954-1971, pag. 159, n. 88 e tav. 87s]:

l'iscrizione aramaica con i caratteri monumentali utilizzati in un'iscrizione datata fra I sec. a.C.-68 d.C.
Il titulus a Roma nella basilica di santa Croce in Gerusalemme

Alcuni cronisti antichi [Gelasio di Cesarea che scrisse nel 390 d.C. circa citato nella Storia della Chiesa di Rufino d'Aquileia; Alessandro di Cipro nel VI sec. d.C.; Socrate Scolastico nella sua Storia della Chiesa redatta verso il 440 d.C. Vedi Hesemann pagg. 242ss] raccontano la scoperta della croce da parte di Elena, madre dell'imperatore Costantino, a Gerusalemme nell'estate del 325 d.C. Secondo la tradizione, oltre alla croce fu ritrovato il titulus ovvero l'iscrizione posta (probabilmente semplicemente legata e non inchiodata) sulla croce. Elena divise a metà il titulus per lasciarne una parte a Gerusalemme portando l'altra a Roma. La metà romana (25.3 x 14 x 2.6 cm) [Hesemann pag. 331] è tuttora conservata ed esposta fra le reliquie della Basilica di santa Croce in Gerusalemme a Roma.

la teca con il titulus il titulus [foto di Paladini F.]

Probabilmente dovrei fare riferimento a Balduino Bedini, Le Reliquie Sessoriane della Passione del Signore, Roma 1997 ma devo accontentarmi di citarvi Michael Hesemann, Titulus Crucis, Cinisello Balsamo 2000 (ed. san Paolo, £ 42'000) da cui ho anche tratto le foto. Ecco il testo del titulus [Hesemann pagg. 257, 321-324 con alcune correzioni mie nell'ebraico]:

[ישו] הנוצ[רי מלך היהודים]
[ΝΩΙΑΔΥΟΙ ΝΩΤ CΥΕΛΙCΑ]Β CΥΝΕΡΑΖΑΝ CΙ
[MVROEADVI XE]R SVNIRAZAN.I

Come si vede, oltre a piccole variazioni rispetto al testo originale dei vangeli e delle versioni, la principale peculiarità è che anche greco e latino sono scritti da destra a sinistra come è usuale per ebraico ed aramaico, per di più con con caratteri speculari. Per Hesemann questo fatto risponde ad un intento canzonatorio (ma verso chi? verso Gesù e gli Ebrei? ma sono il latino e il greco ad essere invertiti...). In greco il nome di Gesù è abbreviato in IS mentre in latino è ridotto semplicemente ad I secondo l'usuale pratica di abbreviare i nomi nelle epigrafi. La riga in ebraico è praticamente illeggibile: rimangono visibili solo pochi caratteri (sinceramente non riesco neppure ad associare i segni rimasti con la ricostruzione fatta nella targhetta al di sopra della teca). Mentre Giovanni riporta il termine Nazoràios che richiama in qualche modo anche il nazireato (vedi TOB nota b a Matteo 2,23; il nazireato è descritto in Numeri 6,1-8), il titulus toglie ogni equivoco con nazarenus 'di Nazareth'. In ebraico נָזיִר nazir è il nazireo mentre נָצְרַת Natsrat è Nazaret [BDB pag. 634 e Carlo Rusconi, Vocabolario del Greco del Nuovo Testamento, pag. 219].

Il crocifisso ligneo di Michelangelo

Un'ultima curiosità è rappresentata dall'iscrizione del crocifisso ligneo realizzato da Michelangelo verso il 1494, recentemente restaurato e oggi di nuovo esposto nella chiesa di santo Spirito a Firenze [l'attribuzione a Michelangelo è di M. Lisner 1966, Il Crocifisso di S. Spirito in Atti del Convegno di Studi Michelangioleschi, Firenze-Roma 1964 pagg. 295-316, Roma; sul trasferimento dell'opera da Casa Buonarroti alla chiesa di santo Spirito: Luciano Berti, A proposito del Crocifisso di Santo Spirito, <www.casabuonarroti.it/notiz.htm>; notizia del trasferimento (gli orari sono sbagliati! Apertura ore 10); foto da Elena Capretti, Il complesso di Santo Spirito (ed. Becocci/Scala £ 15'000)].

il crocifisso di Michelangelo l'iscrizione
l'iscrizione vista a specchio

Anche qui latino e greco sono scritti da destra a sinistra: evidentemente Michelangelo, lavorando alla corte di Lorenzo il Magnifico, venne a sapere della riscoperta del titulus a Roma nel 1492 e ne fu influenzato nel redigere l'iscrizione. Così ne è stato ricostruito il testo ebraico:

ישו הנוצרי מלך מיהודים
Gesù il Nazareno re fra i Giudei

I caratteri ebraici sono quelli comunemente utilizzati a quel tempo: i tratti verticali sono sottilissimi e tendono a scomparire, così che la scrittura sembra fatta solo dai più spessi tratti orizzontali, dritti o curvi. Si noti come sia difficile distinguere tra la lettera ו waw e י yod. Per un confronto, aggiungo la scansione di una fotocopia di una foto di un manoscritto datato al 1481 [Birnbaum pag. 290, n. 300 e tavola 300]. manoscritto ebraico del 1481; pagina tratta dal libro dei Salmi

L'uso della ΣΣ in greco e il nome di Gesù non abbreviato ci fanno capire che comunque Michelangelo (o chi fu incaricato di redigere l'iscrizione) non vide direttamente il titulus di Roma. Abbastanza corrispondente è invece la scrittura inclusa di ΥΥ e ΝΝ rispettivamente in ΟΟ e ΩΩ: nel titulus infatti la ΟΟ sostituisce la gamba verticale della ΥΥ.

Gian Pietro

Le tribù di Israele

Una mia amica persicetana, Sara, da sempre innamorata della cultura ebraica e ormai residente a Gerusalemme, si è innamorata anche di Arieh, ebreo di origine americana. Lo scorso 1 luglio 2001 si sono sposati qui in Italia. Ne approfitto per fare loro ancora una volta i migliori auguri...

05/VII/2001

Al matrimonio di Arieh e Sara, ebrei e cattolici si sono trovati tutti in difficoltà di fronte ad una classica domanda di cultura biblica: elencare le 12 tribù di Israele.

Sbibbiando un po', aiutato anche dal pratico ed essenziale 'Piccolo dizionario biblico' di Jesus (£ 39'000; COMUNICATO PUBBLICITARIO: repereribile presso il Centro Diffusione Periodici Paolini), provo ad esporvi alcune cose che ho scoperto...

La confusione è nata dal fatto che le 12 tribù di Israele (che è poi il nome dato da Dio a Giacobbe in due occasioni: Genesi 32,29 dopo la lotta sul fiume Iabbok e Genesi 35,10) derivano dai 12 figli di Giacobbe senza però corrispondervi esattamente.

Ecco i dodici figli di Giacobbe (il numero indica l'ordine di nascita):
da Lia: Ruben 1, Simeone 2, Levi 3, Giuda 4, Issacar 9, Zabulon 10 (e infine l'unica figlia di nome Dina che ricompare in Genesi 34);
da Bila, schiava di Rachele che era sterile: Dan 5, Neftali 6;
da Zilpa, schiava di Lia per pareggiare i conti con Rachele: Gad 7, Aser 8;
da Rachele infine che diventa feconda nascono i figli più amati: Giuseppe 11 e l'ultimo Beniamino 12 che nasce più tardi [Genesi 35,16ss].

La storia delle nascite fino a Giuseppe è in Genesi 29,31--30,22. Un elenco riassuntivo è in Genesi 35,23-25. Sono elencati anche nella benedizione data dal padre Giacobbe morente in Genesi 49.

La divisione della Terra Promessa fra le tribù avviene al momento della conquista (1230-1220 a.C.) al rientro dall'esodo ed è narrata nel libro di Giosuè. La tribù di Giuseppe è già suddivisa in due tribù corrispondenti ai suoi due figli: Efraim e Manasse [confronta Genesi 48,14-19]. Per questo motivo l'amico di Arieh aveva smentito Sara quando aveva detto Giuseppe; d'altronde Ester (Cocchi) -scambiata per un nome di tribù nell'elenco fornito al presentatore Ghibo mentre ne era solo l'autrice- aveva copiato dalla Bibbia non i nomi delle tribù ma i nomi dei figli di Giacobbe.

Mosè affida i territori a est del Giordano (transgiordanici) a Ruben, Gad e Manasse da sud a nord [Giosuè 12,6 e 13,8].

Poi vengono assegnati i territori ad ovest (verso il mare, cisgiordanici) del Giordano. Prima viene Giuda, che ha un posto privilegiato [Giosuè 15] (nucleo del futuro regno di Giuda e della Giudea del nuovo testamento). Quindi è il turno dei figli di Giuseppe [Giosuè 16 e 17]. Manasse è quindi suddiviso in due parti [vedi Giosuè 13,7]: la parte orientale assegnata da Mosè prende anche il nome di Makir, figlio di Manasse e padre di Galaad [Giosuè 17,1ss] (questa paternità l'ho segnalata per Ghibo!); la parte occidentale è Manasse in senso proprio [Giosuè 17,3ss racconta la richiesta di questi altri territori 'in mezzo ai nostri fratelli'].

Seguono le altre 7 tribù [Giosuè 18--19]: Beniamino, Simeone, Zabulon, Issacar, Aser, Neftali, Dan. Zabulon e Neftali compaiono anche nel nuovo testamento [Matteo 4,13.15] come parte della Galilea.

Infine vengono designate le città di rifugio [Giosuè 20] per dare scampo ai fuggitivi e le città levitiche [Giosuè 21] dove i discendenti di Levi (la tribù sacerdotale senza terra) potevano trovare sostentamento facendo pascolare il loro bestiame [Giosuè 21,2].

Le tribù nella Terra PromessaSe guardate la cartina all'indirizzo [tratta dal 'Piccolo dizionario biblico' di Jesus] http://digilander.iol.it/elam/bibbia/img/tribu.jpg (210k) vedrete che Simeone è accorpato a Giuda. Giuda aveva infatti un territorio troppo vasto e i discendenti di Simeone presero possesso in mezzo ai discendenti di Giuda [Giosuè 19,9].

Se guardate la brutta carta geografica in fondo alla bibbia di Gerusalemme troverete un ulteriore territorio assegnato a Dan, all'estremo limite settentrionale del paese: infatti i discendenti di Dan conquistarono di propria iniziativa la città di Lesem secondo Giosuè 19,47. Per questo la formula 'da Dan a Bersabea' (Bersabea è una città sul confine meridionale) [ad esempio in Giudici 20,1 o 1Samuele 3,20] indica la Terra Promessa nella sua interezza.

Bisogna aggiungere infine che, secondo gli esegeti, il testo biblico descrive a posteriori l'insediamento ideale delle tribù, che non corrisponde necessariamente alle effettive zone di insediamento.

I nomi delle tribù in ebraico (più o meno; é ó = 'e' 'o' chiuse): re-uvén, shim-ón, lewì, yehudà, yissacàr, zevulùn, menasshè ed efràyim (figli di yoséf), vinyamìn, dan, naftalì, gad, ashér. E in inglese: Reuben, Simeon, Levi, Judah, Issachar, Zebulun, Ephraim and Manasseh (Joseph), Benjamin, Dan, Naphtali, Gad, Asher.

A proposito, Arieh [BDB pag. 71] si pronuncia Aryé e significa 'leone'. In 2Re 15,25 è anche un nome proprio di persona. Simile è Ari-él ('el' da cui 'elohim' che significa 'Dio') ovvero 'leone(ssa) di Dio', nome simbolico di Gerusalemme in Isaia 29,1ss [confronta nota 'o' di Bibbia TOB], di uno spirito dell'acqua nella Cabalà rabbinica e, infine, di uno spirito dell'aria nella Tempesta di Shakespeare, di un angelo caduto nel Paradiso Perduto di Milton, del primo satellite del pianeta Urano (i cui satelliti hanno nomi shakespeariani: Oberon, Puck...) scoperto nel 1851 [dalla vecchia enciclopedia Vallardi di mio padre]!

Ciao a tutti
Gian Pietro

13/VII/2001

Ricevo (12/VII) da Maria-Chiara Negri e volentieri inoltro alcuni commenti alla mia e-lettera sulle tribù di Israele...

Sull'accento di Arieh: effettivamente io vi ho riportato l'accentazione biblica ma non so quanto coincida con quella dell'ebraico moderno!

Al punto 2 vale ovviamente la seconda ipotesi!

Gian Pietro

------ Messaggio originale ------

[...]

Ti devo però fare alcune osservazioni:

  1. Il collegamento al sito che hai suggerito non riesce, per lo meno dal computer della biblioteca
  2. L'Ester che ha segnalato i nomi delle dodici tribù di Israele è l'amica della Sara. Se si chiama Cocchi come la nostra organista OK altrimenti hai sbagliato persona.

Nel tempo che Arieh è stato qui ognuno l'ha chiamato come gli pare; lo stesso sindaco durante il matrimonio lo ha chiamato in tre modi diversi: Arie (come le arie di una sinfonia), Arié e Arie (con l'accento sulla i) di sicuro la pronuncia che ha usato di più. La Sara penserà di avere sposato tre uomini invece di uno!!

Altri invece lo chiamano Ariel come il figlio del rabbino di "Un estranea fra noi", gran bel film se non lo hai visto te lo presto. In questo stesso film c'è un matrimonio ebraico, per lo meno viene passato dal regista per tale, e ci sono gli stessi segni della cerimonia di Sara e Arieh: la tenda degli sposi, il girare della sposa attorno allo sposo, il bere il vino dalla stessa coppa e la frantumazione della coppa vuota avvolta in un pezzo di stoffa.

Sara comunque lo chiama Arie come le arie di una sinfonia.

Ciao Maria-Chiara.

Vieni o vai? [Cantico 2,10]

Durante il suggestivo rito per il matrimonio di Sara e Arieh, cogliendo subito una leggera differenza di traduzione rispetto al testo CEI in una lettura dal Cantico dei Cantici, Massimo P. richiamava con discrezione la mia attenzione per chiedermi sottovoce di dare un'occhiata al testo ebraico. Concluse dicendomi: «ti ricorderai?»... per una volta sì!

2/VII/2001

Cantico dei Cantici (='il Canticissimo, il Cantico per eccellenza') 2,10

עָנָה דוֹדִי וְאָמַר לִי קוּמִי לָךְ רַעְיָתִי יָפָתִי וּלְכִי־לָךְ׃

Letteralmente parola per parola (confronta il libretto di Sara & Arieh, testo ebraico, 3° riga, a destra dei primi due punti (che marcano la fine di un versetto) da destra):

risponde il-mio-amato e-dice a-me alza (stesso verbo di 'talithà qum' Marco 5,41) te (stessa), amica-mia, bella-mia e-parti/vai.

Qual'era la tua perplessità? Effettivamente nella CEI c'è un verbo 'venire' (ereditato da LXX e vulgata) che è comunque lecito, perché è un partire per andare dall'amato. Il 'vieni fuori' nella traduzione di Sara rende bene questa idea. La frase è piena di enfasi in ebraico. Ad esempio, la NRSV inglese traduce infatti 'come away' cioè 'vieni via'.

Non è lo stesso 'vieni' di 'vieni dal Libano' che è un verso molto diverso in ebraico. Chi traduce la sacra Scrittura dovrebbe sempre tener presente che l'oscuro versetto che sta traducendo potrebbe diventare il famoso verso di un canto che rimane impresso nella memoria di tutti (anche se nessuno si chiede mai perché questa sposa debba venire proprio dal Libano -che per noi è un paese in conflitto con Israele, ridotto a un cumulo di macerie da anni di guerre e non il paradiso naturale dell'antico testamento, ricco di materie prime-... direi che Sara rappresenta bene per Aryéh la sposa straniera che da lontano viene ad abitare a Gerusalemme).

La LXX aggiunge 'mia colomba' alla fine.

Quando si inizia a 'scavare' sul testo ebraico saltano fuori sempre delle sorprese... ci sarebbero altre cose da dire... se ho un po' di tempo ti scrivo qualcos'altro nei prossimi giorni!
Scusa le divagazioni.

Ciao
Gian Pietro

3/VII/2001

Mi piace molto la traduzione "vieni fuori" dopo l'invito "alzati" perché mi ricorda la risurrezione di Lazzaro.

Quando si dice "vieni fuori", vuol dire che c'è un "dentro" che non è buono per l'uomo. Un "dentro" che l'opprime e non lo custodisce, un dentro dove regna la solitudine (non è bene che l'uomo sia solo) e il buio. Questo buio è combattuto dalla luce che tenta di illuminare l'uomo che giace prigioniero nell'ombra di morte. Infatti lo sposo si affaccia alla finestra e per spezzare la disperazione e la solitudine con l'abbraccio, intona quel canto bellissimo (che per me è il vero cantico dei cantici) con il quale cerca di convincere l'amata dell'amore, che la stagione che viviamo non è l'inverno ma la primavera e che la direzione più vera della nostra vita non è il ripiegamento su se stessi ma l'abbraccio all'altro. Mi piace moltissimo la discrezione e la premura dell'amato che non comanda di uscire (e lo potrebbe fare perché è lui il padrone di casa !) ma canta un canto d'amore. Per uscire dalla disperazione non servono discorsi logici e pieni di buon senso, ma ci vuole un canto d'amore che ci faccia arrendere e desistere dai nostri pensieri di morte.

Mi piace allora accostare il testo di Ap 3,20: "Ecco io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce ...".

Massimo

Biblia Hebraica Leningradensia

22/V/2001

Ho visitato il Suo sito [...]. Colgo l'occasione per rivolgerLe una domanda, ho sentito ieri in televisione parlare della bibbia di Leningrado, cos'è, come si fa ad avere una documentazione più consistente?
prof. G. Rocca

29/V/2001

[...] Per quel che riguarda la Bibbia di Leningrado, credo si riferisca alla Biblia Hebraica Leningradensia. Faccio un passo indietro...

Dopo secoli di tradizione orale, al ritorno dall'esilio babilonese (539 a.C.) inizia la fissazione per iscritto della sacra scrittura. Com'è noto, si utilizzò l'alfabeto fenicio, un alfabeto consonantico che non possedeva cioè segni per le vocali, anche se talvolta ne segnalava la presenza con l'espediente delle "matres lectiones" (cioè l'utilizzo delle semiconsonanti per indicare le vocali: ad esempio w per /u/). Il testo consonantico acquistò una forma canonica sul finire del I sec. d.C. (fra la prima e la seconda rivolta contro i Romani) ad opera del rabbinismo farisaico della corrente di Hillel.

Il passo successivo fu la registrazione completa e non equivoca delle vocali, effettuata a partire dal VI sec. d.C. con la messa a punto di segni grafici aggiuntivi (principalmente punti e trattini posti sopra e sotto il testo consonantico). Un contributo decisivo venne dalla scuola rabbinica di Tiberiade, detta dei Massoreti (dall'ebraico /massoràh/ "tradizione, trasmissione"), soprattutto grazie alla famiglia di ben Asher, attiva dall'870 al 930 d.C. A questa scuola si rifanno i codici (o manoscritti) più antichi della Bibbia in ebraico giunti fino a noi: fra questi ha particolare rilievo per la sua integrità il codice B19 A della Biblioteca Pubblica Statale Saltikov Tschedrin di san Pietroburgo (Leningrado fino a qualche anno fa) in Russia, detto semplicemente codice di Leningrado (eccoci, finalmente!), risalente al 1008 d.C. [Aggiunta postuma] Curioso che il nome di un codice biblico rimanga legato (e la consuetudine è tale che non cambierà certo nome come la città!) a quello di Lenin.

Oltre ai codici, abbiamo anche i papiri, molto più antichi ma spesso frammentari. Fra questi, ricordo ad esempio il famoso rotolo 1QIsaa contenente l'intero libro di Isaia ritrovato a Qumran e risalente al II sec. a.C. ed esposto oggi nello Shrine of the Book <http://www.imj.org.il/shrine/> a Gerusalemme.

La prima bibbia ebraica a stampa è del 1477, ma veniamo subito alle edizioni moderne usate per lo studio: la più utilizzata è la Biblia Hebraica Stuttgartensia redatta a Stoccarda fra il 1967-1977 (BHS; è la 4° edizione completamente rivista della Bibbia Ebraica di Kittel). La BHS è basata sul codice di Leningrado con un apparato critico che confronta il testo del codice di Leningrado con quello delle versioni (greche, latine etc.), degli altri codici ebraici e di pochi papiri.

La BHL aperta al cap. 32 del Deuteronomio (il cantico di Mosè)La Biblia Hebraica Leningradensia (BHL) uscita a fine aprile 2001 è l'ennesima edizione basata sul codice di Leningrado. Perché una nuova edizione? Beh, intanto sono passati quasi 30 anni dalla BHS, con una naturale evoluzione negli studi biblici e una maggior diffusione dei testi presenti sui papiri di Qumran che hanno cambiato molto la prospettiva degli studi negli ultimi anni. Inoltre la trascrizione del testo del codice dovrebbe essere più accurata di quella della BHS. Un altro difetto della BHS (che rimane comunque un'opera eccezionale e indispensabile fino ad oggi per chi vuole leggere l'antico testamento in ebraico!) è la redazione a più mani che crea disomogeneità nell'apparato critico da libro (biblico) a libro.

Di seguito le riporto la descrizione della BHL diffusa attraverso il servizio di news dell'Oriental Institute di Chicago.

Biblia Hebraica Leningradensia

Prepared according to the Vocalization, Accents, and Masora of Aaron ben Moses ben Asher in the Leningrad Codex

Aron Dotan
Retail Price: $39.95
HP Item Number: 30890
ISBN: 1565630890

The most accurate edition of the Leningrad Codex in print, the Biblia Hebraica Leningradensia presents a thoroughly revised, reset, and redesigned edition of the Hebrew Bible meticulously prepared by renowned masoretic scholar Aron Dotan. The BHL includes features that suit it for research, classroom, and liturgical use. Scholars will find this a welcome edition of the Leningrad Codex, the oldest complete manuscript of the Hebrew Bible, whose text and layout it precisely follows. A foreword and four appendices provide the researcher with important details and distinctions about the codes. In addition to being a scientific edition, it was originally commissioned in Israel to follow the necessary adaptations that qualify it for Jewish liturgical use, such as divisions into weekly portions and their subdivisions for synagogue reading. Students, too, will find here an ideal text for classroom use, with an uncluttered format and printing that is matchless for itsr eadability.

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Peabody, Massachusetts 01961-3473
Toll-Free: 800-358-3111
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End of ANEnews Digest V2001 #52
*******************************
Back issues are available on theOriental Institute World-Wide Web (WWW) site at:
http://www-oi.uchicago.edu/OI/ANE/OI_ANE.html

Collegamenti e bibliografia

Sul codice di Leningrado (in inglese, a parte il primo collegamento):

Meno interessanti:

Se vuole qualche riferimento bibliografico su qualche punto specifico, mi faccia sapere.

[aggiunta postuma]

Impaziente, scarto la BHL appena arrivata dagli USALe confesso che anch'io sono curioso di averne presto una copia tra le mani (sembra anche che non costi troppo!) per vedere se davvero sostituirà la BHS nello scaffale dei libri da tenere sempre a portata di mano!
Gian Pietro Basello

(13/VII/2001) Finalmente mi è arrivata la BHL! Rispetto alla BHS non ha un apparato critico; le varianti sono elencate nell'appendice A e si riferiscono solo a letture dubbie del codice di Leningrado. L'edizione è molto fedele all'originale, ad esempio anche nella resa grafica e disposizione degli accenti. Accurata la prefazione. L'appendice D riporta l'articolo Deviation in Gemination in the Tiberian Vocalization. L'appendice E dà le letture bibliche per l'uso liturgico ebraico.

La tavola dei popoli di Atti 2,9-11

19/V/2001

Hai notizie sulla tavola dei popoli di At 2,9-11?
don Giuseppe

20/V/2001

Mi dispiace non poterti aiutare più di tanto su questo argomento che mi sta a cuore... e non solo perché ci sono gli Elamiti! L'elenco dei popoli, con i suoi nomi che suonano così esotici al fedele della messa di Pentecoste, evidenzia bene la spazialità e complessità del mondo antico, spesso da noi ridotto ai soli Romani, Greci e casomai Ebrei. Senza parlare delle valenze simboliche di questa folla eterogenea, riunita dai paesi più lontani (con un lungo viaggio alle spalle e la prospettiva del viaggio di rientro) per ascoltare il lieto annunzio.

Innanzitutto c'è la nota di BJ ad Atti 2,9-11.

Poi in
Bossuyt Ph. / Radermakers J., Lettura pastorale degli Atti degli Apostoli, Bologna 1997 (ed. Dehoniane Bologna) pagg. 227s e nota 115
ho trovato questi due riferimenti bibliografici che però non sono mai riuscito a recuperare (non ho mai guardato però alla biblioteca di Scienze Religiose di via san Vitale... la prossima settimana provo a darci un'occhiata!!):
Brinkman J.A., The Literary Background of the "Catalogue of the Nations" (Acts 2,9-11) in Catholic Biblical Quarterly 25 (1963) pp. 418-427
Metzger B.M., Ancient Astrological Geography and Acts 2,9-11 in Apostolic History and the Gospel (Festschrift F.F. Bruce)

Nel caso non l'avessi a portata di mano, ti ricopio le due righe che Bossuyt e Radermakers dedicano alla questione:

Per quanto riguarda la lista di «tutte le nazioni che sono sotto il cielo»,115 è probabile che Luca la riprenda da un elenco già esistente, in cui i popoli sono collocati in un determinato ordine, da est a ovest, e poi da nord a sud. Notiamo che la Giudea, stranamente citata al quarto posto,116 non gode di nessuna priorità, e che alle dodici nazioni o regioni menzionate vengono aggiunti i «romani», che Paolo incontrerà alla fine degli Atti. Luca conclude la lista delle nazioni sottolineando la situazione religiosa dei loro rappresentanti: giudei e «proseliti», ovvero pagani convertiti al giudaismo e alle sue pratiche. Mette infine l'accento sull'universalità della loro provenienza: i cretesi sono gli abitanti delle isole situate a ovest, gli arabi sono i nomadi del deserto situato a est.

Alcune mie considerazioni generali e scontate sono all'indirizzo http://digilander.iol.it/elam/bibbia/pentecoste2000.htm#nazioni con tanto di cartina geografica.

L'utilizzo dell'etnonimo 'Elamiti' è molto interessante in quanto l'Elam come entità politico/statale era già tramontato da mezzo millennio (l'Elam diventa satrapia persiana assieme a Babilonia nel 538 a.C.). Gli Atti testimoniano secondo me un'importante continuità nella denominazione geografica (cioè non Elamiti in senso etnico ma in quanto abitanti nella regione dell'Elam). La presenza di ebrei provenienti dall'Elam non ci stupisce: Isaia 11,11 ne parla esplicitamente; Daniele (Daniele 8,2) ha una visione a Susa; tutta la vicenda di Ester è ambientata ancora a Susa. Questo discorso non vale se la tavola dei popoli fu copiata, e mi piacerebbe vedere il supposto testo originale (credo sia una tavoletta cuneiforme) per farmi un'opinione mia. Comunque sia, fra VIII e XIV secolo d.C. una provincia ecclesiastica nestoriana continua a chiamarsi Elam.

Se ti può interessare, una bella suggestione visiva è rappresentata dalla cupola della Pentecoste della basilica di san Marco a Venezia. Al centro c'è lo Spirito in trono che si irradia sugli apostoli disposti in un primo registro circolare. Ai piedi degli apostoli, intervallati dalle finestre, ciascun popolo è simbolicamente rappresentato da una coppia di persone con tanto di didascalia.
Puoi trovarne una foto all'indirizzo http://digilander.iol.it/elam/elam/chicago.htm (l'immagine è mappata e cliccando appena fuori dalla cupola sugli angoli bianchi si ingrandisce).

Non mi ricordo dove, ma ho letto anche che l'elenco copiato da Luca è un calendario astrale di età seleucide in cui i popoli sono associati ai mesi, ma non ricordo dove e non vorrei ricordarmi male. Se mi viene in mente, ti scrivo!
Gian Pietro

30/V/2001

Caro don Giuseppe,
stamattina sono finalmente riuscito (dopo varie peripezie... la biblioteca ha un sistema di distribuzione impossibile e per fortuna che gli obiettori ti vengono incontro!) ad ottenere le fotocopie di
Brinkman J.A., The Literary Background of the "Catalogue of the Nations" (Acts 2,9-11) in Catholic Biblical Quarterly 25 (1963) pp. 418-427
alla biblioteca G.Dossetti di via san Vitale (a proposito, causa un cedimento nella sala di lettura chiuderà dalla prossima settimana fino a settembre!).

Mi sembra che sia interessante, almeno da un punto di vista esegetico. In due parole: la lista non è su una tavoletta cuneiforme come credevo ma è riportata in Paulus Alexandrinus, Eisagoge eis ten apotelesmatiken (Introduzione all'astrologia dell'378 a.C.). 16 regioni geografiche sono raggruppate insieme sotto i 12 segni zodiacali per scopi astrologici. Luca non copiò direttamente questo documento (ci sono leggere ma significative differenze). Comunque, il contesto è quello dell'astrologia babilonese della seconda metà del I millennio a.C. La Giudea è un'aggiunta di Luca (nota mia: curiosamente, rimane esattamente al centro del cerchio tracciato in senso antiorario dal resto dell'elenco).

Puoi trovare l'articolo all'indirizzo http://www.elamit.net/bibbia/brinkman.htm.
Gian Pietro

Nota postuma (7/IV/2002) L'articolo di Brinkman è davvero chiaro e illuminante. Alcuni importanti riferimenti bibliografici sono dati nella nota 8 a pagina 420. Riguardo all'Elam: nota 9 a pagina 421. Non sfugga comunque che Paolo Alessandrino scrive nel 378 d.C.!

Dal mio articolo Babylonia and Elam: the Evidence of the Calendars di prossima pubblicazione negli atti del III convegno dell'associazione Melammu [bozza del 2/I/2002]:

  1. Acts 2:9ff.: 9«Parthians and Medes and Elamìtes and those who inhabit the Mesopotamia, both Judea and Cappadocia, Pontus and the Asia, 10both Phrygia and Pamphylia, Egypt and the parts of the Libya that about {towards/around/adjoining/belonging-to} Cyrene, and the Romans sojourning (here), 11both Jews and proselytes, Cretans and Arabs: we hear them proclaiming in our tongues the mighty things of God».
  2. A similar list preserved in Paulus Alexandrinus' Εἰσαγωγὴ εἰς τὴν ἀποτελεσματικήν "Introduction to Astrology" [published in Boer 1958] attests a common background originating from Babylonian-Hellenistic astral geography. Paulus Alexandrinus groups sixteen geographical areas under the twelve signs of the zodiac for astrological purposes. His work is dated to 378 AD but the form of this tradition goes back to the late 4th century bc. On the ground of some minor variants, the form of the tradition attested by Luke was compiled instead in the early 1st century bc [Brinkman 1963 pp. 423f.; see also Cumont 1909, Weinstock 1948 and Metzger {missing year}].
  3. If there were Babylonian Jews in Jerusalem at that time, there would be as well Jews from Elam: in the book of prophet Isaiah [Isaiah 11:11] we find mention of some Jews in Elam, as it appears also from the story of the Jew woman Esther at the Persian court in Susa [Esther 2:5-7]. On the other hand, it is not anchronistic the usage of the ethnonym Elamites: although Elam as political organization disappeared in the 6th century bc, it survived as geographic denomination (perhaps also with an ethnic connotation) till the 14th century AD, where the name Elam identified the ecclesiastical province of the Nestorian church located in Khūzistān (the ancient Susiana) [Potts 1999 chapter 11]. It is noteworthy that Elamites together with Parthians and Medes replaces Paulus Alexandrinus' Persis in the recent form of the list attested by Luke [see above]. About the uninterrupted use of the name Elam to identify different entities see Potts 1999 chapter 1.

References
BOER E. {Æ.} / NEUGEBAUER O. 1958, ΠΑΥΛΟΥ ΑΛΕΞΑΝΔΡΕΩΣ ΕΙΣΑΓΩΓΙΚΑ, PAVLI ALEXANDRINI ELEMENTA APOTELESMATICA (Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana), Lipsia
BRINKMAN J.A. 1963, The Literary Background of the "Catalogue of the Nations" (Acts 2,9-11) in Catholic Biblical Quarterly 25 pp. 418-427
CUMONT F. 1909, La plus ancienne géographie astrologique in Klio 9 pp. 263ff
METZGER B.M., Ancient Astrological Geography and Acts 2,9-11 in Apostolic History and the Gospel (Festschrift F.F. Bruce)
POTTS Daniel T. 1999, The Archaeology of Elam: Formation and Transformation of an Ancient Iranian State, NewYork 1999
WEINSTOCK St. 1948, The Geographical Catalogue in Acts II 9-11 in JRS 38 pp. 43ff

13 Adar

4/II/2001

Nel 12° anno del re Assuero il primo mese di Nisan fu tirata a sorte la data dello sterminio degli ebrei in babilonia ed esso fu il giorno del 13 di Adar; le chiedo è possibile stabilire a quale giorno e mese e anno corrisponde dell'era volgare?

la ringrazio per l'attenzione che vorrà darmi.
distinti saluti

Vincenzo (Caltanissetta)

6/II/2001

Le rispondo in fretta perché proprio questa settimana ho una scadenza da rispettare e sono un po' indaffarato.

Innanzitutto chi era il re Assuero citato nel libro di Ester? La Settanta (versione greca dell'antico testamento), Flavio Giuseppe (il famoso storico ebreo del I sec. d.C.) e altre fonti giudaiche lo identificano con Artaserse (I), il sovrano Achemenide che regnò sull'impero persiano dal 465 al 423 a.C.

Tuttavia gli studiosi sono generalmente concordi nel sostenere che il nome ebraico ahashwerosh (leggi qualcosa tipo akasc-uerosc con la sc dell'italiano "scena") corrisponde all'antico persiano khshayarshan, ovvero il nome del sovrano Achemenide meglio noto in italiano come Serse (I), nome che a sua volta deriva dalla forma greca Xerxes. La forma italiana Assuero deriva dalla tradizione latina che traduce ahashweros in Asuerus. Serse I regnò dal 486 al 465; il primo anno di regno completo (ovvero il 1° anno di Serse nelle date) fu a cavallo del 485/484 a.C.

A questo punto bisogna consultare le tavole cronologiche di R.A. Parker / W.H. Dubberstein, Babylonian Chronology 626 b.C.-A.D. 75, Providence 1956. Il libro è un po' datato ma è tuttora un punto di riferimento per problemi di questo tipo (sono state fatte alcune piccole correzioni che però non ho modo di consultare qui da casa). Il 12° anno di Serse inizia il 5 aprile del 474 a.C. che corrisponde quindi al giorno 1 del I mese Nisan. Il primo giorno del XII mese Adar corrisponde al 24 febbraio del 473. L'anno iniziava all'incirca in primavera e aveva mesi lunari che iniziavano subito dopo la luna nuova.

Negli archivi dell'amministrazione reale di Persepoli si trovano diverse tavolette (in elamico) datate a questo periodo, che sono servite peraltro a redigere le tavole cronologiche del Parker / Dubberstein...

Ci sarebbero tante altre cose interessanti da scriverle... mi riprometto, se vuole, di farlo con calma la prossima settimana. Mi faccia sapere anche se c'è qualcosa di poco chiaro.

Cordiali saluti
Gian Pietro

7/II/2001

La ringrazio per la sua esauriente risposta, le vorrei chiedere di dare uno sguardo a questa tabella che ho stilato grazie ai suoi dati.

05 Aprile 474 A.C. 1° giorno Nisan suoi dati inizia il 12° Anno di Assuero
18 Aprile 474 A.C. 13° giorno Nisan Ester 3,12 furono chiamati gli scribi per scrivere l'editto di Aman
Quanto tempo è trascorso tra il 13 di Nisan e il Digiuno di Ester?
Ipotizzando che Ester abbia saputo la notizia dell'editto di Aman lo stesso 13 di Nisan e abbia digiunato 3 giorni (questo è certo):
20 Aprile 474 a.c. ??? 15° giorno Nisan Ester 5,1 Ester si presenta ad Assuero il 3° giorno del suo digiuno
20 Aprile 474 a.c. ??? Ester 5,3 Ester invita Assuero al banchetto nello stesso giorno
21 Aprile 474 a.c. ??? 16° giorno Nisan Ester 7,2 Ester invita di nuovo Assuero al banchetto (vedi Ester 5,8) e accusa Aman che vien punito
21 Aprile 474 a.c. ??? Ester 8,1 Assuero nello stesso giorno dà ad Ester la casa di Aman
28 Aprile 474 A.C. 23° giorno di Nisan nota Bibbia di Gerusalemme
Ester 8,9
Testo greco: convocati gli scribi per fare un altro editto dettato da Mardocheo
04 Giugno 474 A.C. ? 23° giorno Sivan

Ester 8,9 Testo ebraico: convocati gli scribi per fare un altro editto dettato da Mardocheo
24 Febbraio 473 A.C. 1° giorno Adar suoi dati (nel 12° anno di Assuero)
09 Marzo 473 A.C. ? 13° giorno di Adar Ester 3,7 Giorno in cui cadde la sorte per lo sterminio

Potrebbe verificare la sua esattezza... e darmi una sua opinione sui punti interrogativi... e se ha altri riferimenti a questo libro di Ester da indicarmi. Ringraziandola la saluto caramente.

Vincenzo

20/II/2001

Caro Vincenzo,
perdoni il mio costante ritardo...

La sua tabella è molto interessante (come del resto la questione delle date del libro di Ester)! Non è che possa rispondere facilmente ai punti interrogativi: certe questioni non sono affrontate dal testo e possiamo soltanto fare delle ipotesi. Le sue mi sembrano ragionevoli.

Per quel che riguarda la corrispondenza fra le date del calendario babilonese e quelle del nostro calendario (per la precisione si tratta di calendario giuliano) le allego una scansione tratta dal libro di Parker e Dubberstein che citavo nella scorsa mail. Ogni riga corrisponde ad un anno di regno di Serse con l'indicazione dell'anno giuliano e di ogni primo giorno del mese secondo il nostro calendario (attenzione: la cifra prima della barra trasversale è il mese cui segue il giorno). Occasionalmente trova un mese solitario dopo il VI e dopo il XII: si tratta del mese intercalare aggiunto per mantenere il ciclo lunare in sincronia con le stagioni del ciclo solare. E' pure indicato il cambio di anno giuliano nel corso dell'anno babilonese: l'anno babilonese inizia grosso modo con l'equinozio di primavera e rimane quindi a cavallo di due anni giuliani. La tavola redatta da Parker e Dubberstein è assolutamente necessaria perché il calendario babilonese è lunare e i mesi hanno lunghezza variabile di 29 o 30 giorni. In più per calcolare il 13 di Adar mi sono accorto che bisogna sapere se il 473 a.C. è bisestile o meno... infatti è bisestile, per cui tenga conto che febbraio ha 29 giorni! Se le interessa il calendario babilonese, può dare un'occhiata a http://www.elamit.net/elam/calendario_babilonese_utf.htm. In realtà è una pagina che sto preparando e ci sono alcune cose da sistemare (cosa che spero di fare nei prossimi giorni)...

Per il libro di Ester ci sono alcuni riferimenti stimolanti e controcorrente nel libro in inglese Persia and the Bible del professore americano Edwin M. Yamauchi (Yamauchi è il cognome; ed. Baker); purtroppo non so dove possa reperirlo... Un'ottima introduzione al libro di Ester si trova (oltre che nella Bibbia di Gerusalemme) nella Bibbia TOB (ed. LDC) che distingue bene fra versione ebraica e versione greca riportando i due testi separatamente.

Non so per quale motivo particolare si è interessato a questo argomento, comunque se ha pazienza (perché per parte mia ci lavoro nei ritagli di tempo) mi piacerebbe preparare una pagina internet sulle date nel libro di Ester (e sarebbe interessante vedere se c'è qualche tavoletta dell'amministrazione di Persepoli con date coincidenti) e mi piacerebbe avere anche un suo contributo (ad esempio la sua tabella)... se ha tempo e se le fa piacere, rimaniamo in contatto.

Cordiali saluti
Gian Pietro

24/II/2001

Grazie Gian Pietro
per la sua attenzione, per la pagina del calendario babilonese, e per le tutte le notizie che mi ha dato.

La Bibbia è piena di date di numeri e ciò ha stimolato la mia curiosità nel ricercare in essi il significato reale o simbolico.

Ho fatto alcune ricerche su internet riguardo alla regina Ester. Io credo che il giorno 13 rappresenti nella Bibbia un giorno riservato alle punizioni e per evitarle occorre fare dei sacrifici espiatori.

Ho visto grazie al suo aiuto che il 13 Adar corrisponde al 10 Marzo 473. Dopo aver visto questo risultato che mi dice ben poco ritengo che il 13 di Adar va preso così com'è senza cercare corrispondenze con altri calendari.

Io in questa storia ho visto un parallellismo tra la Ester e Maria mi riferisco alla visione di Fatima dal 13 Maggio 1917 fino al 13 Ottobre 1917 e in particolare al testo della terza parte del segreto di Fatima.

Se ha piacere ne possiamo riparlare, mi aggiorni delle sue iniziative su internet.

La saluto, e a presto
Vincenzo (Caltanissetta)

(29/III/2005) Il mausoleo di Ester e Mardocheo a Hamadan, Iran.


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san Giovanni in Persiceto, 3.15/VI/2001 (13/VII tribù e foto BHL) (21/VII 13 adar) (8/I/2002) (Napoli, 7/IV/2002) (Edizioni critiche, Nabucodonosor, Aramaico, Digitalizzazione: Napoli, 24/IX/2002)